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Sudan – La pedina di un nuovo Grande gioco

Parallelamente al gran clamore che ha suscitato la tanto attesa telefonata del presidente Xi Jinping al suo omologo ucraino Zelens’kyj, in Africa si sta consumando una delle tante crisi che quasi passa sotto silenzio per quanto l’opinione pubblica è ormai assuefatta ai problemi di questo continente. Stiamo parlando del Sudan, un paese che negli ultimi decenni ha sofferto focolai d’instabilità a non finire: dalla catastrofe del Darfur iniziata con questo secolo alla secessione del Sud Sudan nel 2011, proseguendo con la caduta del dittatore Oman al-Bashir nel 2019 che ha dato vita ad un’effimera democrazia, a sua volta archiviata nel 2021 con l’ennesimo golpe militare. 

Artefici del colpo di Stato sono due ex fedeli di al-Bashir che hanno unito le forze per l’occasione: il generale Abdel Fattah al-Burhan divenuto il presidente di fatto del Sudan e il leader delle Forze di Supporto rapido (Rsf) di Mohammed Dagalo, Oggetto della contesa la richiesta da parte del primo che le milizie Rsf rientrino nei ranghi dell’esercito, privando così Dagalo della base che potrebbe servire per conquistare a sua volta il potere. Il risultato è una violenza dilagante che ha già causato centinaia di morti e migliaia di sfollati, oltre alla paura che dei ribelli impadronitesi di un laboratorio batteriologico possano diffondere volutamente delle malattie per decimare gli avversari.

La tragica vicenda fa riflettere ancor di più per gli interessi che stanno dietro alle fazioni. Mentre al-Burhan è sostenuto dal presidente egiziano al-Sisi, che vorrebbe un alleato-gemello sulla propria frontiera meridionale, il rivoltoso Dagalo (conosciuto anche come piccolo Mohammed) vanterebbeuna schiera di sponsor che vanno dalla Russia di Putin agli Emirati arabi, fino al generale libico Haftar. Un attore particolarmente rilevante nel presente scenario sono le famigerate milizie russe Wagner di Evgenij Prigozhin, tristemente note nel conflitto ucraino, e che si mantengono in una posizione ambigua tra al-Burhan e Dagalo.

In realtà, da molti anni questi mercenari stanno operando in Africa, collaborando con vari generali e governi africani (Algeria, Libia, Mali, Repubblica Centraficana e Sudan solo per citarne alcuni) per proteggerne gli esponenti e portare avanti gli interessi della madrepatria russa. Talvolta hanno dovuto battere in ritirata, come in Mozambico, ma spesso hanno attecchito in profondità diventando una sorta di potere parallelo di cui i capi locali non possono fare più a meno per rimanere a galla.La presenza del gruppo Wagner sta impensierendo gli Stati Uniti, i quali stanno correndo ai ripari prima che sia troppo tardi.

Nella situazione generale, infatti, viene messa a nudo la quasi irrilevanza occidentale nelle dinamiche che stanno interessando l’Africa di oggi. Dalla fine della guerra fredda, la politica americana ed europea verso il continente africano ha oscillato tra neocolonialismo, paternalismo e umanitarismo strappalacrime che dispensava palliativi che, per quanto nobili, risultavano comunque insufficienti per risolvere i problemi strutturali che continuano ad affliggerlo. Ancora più paradossale era la linea che predicava aiuti economici in cambio riforme democratiche ‘calate dall’alto’, mentre il fine principale delle grandi potenze benigne era quello di avere una stabilità sufficiente per continuare a fare affari. Una stabilità/tranquillità che nella maggior parte dei casiveniva garantita da governi oligarchici e cleptocratici, con buona pace del progresso democratico.

Decenni dopo la speranza di ‘redimere’ l’Africa e i nostri peccati coloniali si è infranta con una situazione a dir poco esplosiva (guerre, rivolte, catastrofi ambientali ed umanitarie) che ha visto l’influenza occidentale sbriciolarsi in modo preoccupante. Ne abbiamo un esempio con le primavere arabe dello scorso decennio, che hanno lasciato eredità tutt’altro che incoraggianti in Tunisia, Libia ed Egitto; lo vediamo con la Francia, che ha ormai archiviato le velleità della Françafrique ed è rimasta al margine in molti territori appartenuti al suo impero coloniale, Mali in testa.

Un mercenario del gruppo Wagner. Fonte: Facebook

Visto che i momenti di crisi sono croce di chi è in decadenza e delizia di chi è in ascesa, non potevano mancare gli attori pronti ad entrare nel vuoto che si è creato. E in cima a tutti ci sono la Russia e la Cina, che sembrano offrire quella stabilità e benessere (a vantaggio di pochi, naturalmente) tanto promessi da un Occidente le cui intenzioni scontano sempre del loro passato da padroni sfruttatori. Non lo fanno certo in modo disinteressato, come poteva sembrare ai tempi dell’URSS per solidarietà ai popoli oppressi, in quanto l’Africa è piena di risorse minerarie da sfruttare e di un potenziale economico tutto da scoprire. La reazione americana, non a caso, pare quella di chi si è reso conto che ad aver trascurato troppo questa parte del mondo se la sta facendo scippare da qualcun altro.

L’Occidente dovrebbe riprendere seriamente l’iniziativa in Africa, non solo in termini di aiuti, ma anche politici che superino il precedente approccio. Pensare che basti introdurre riforme democratiche affinché queste attecchiscano tradisce una superficialità che è costata già cara nel Grande Medio Oriente (Iraq, Afghanistan) travolto dalla forza militare americana, venuta meno la quale, il sogno democratico di quei paesi si è semplicemente vaporizzato. 

Obiettivo prioritario per l’Africa è quello di favorire lo sviluppo economico, il rafforzamento e l’espansione delle infrastrutture esistenti (assolutamente inadeguate per il continente) e gli investimenti che consentano alla società di evolvere e prosperare ad un livello accettabile per la dignità umana, tentando per quanto possibile di contenere la violenza e l’odio tra comunità che ancora faticano a riconoscersi come parte di uno stesso Paese. 

Soltanto arrivati a questo risultato e con un lavoro paziente di collaborazione e di soft power si può sperare di iniziare a sensibilizzare la popolazione e le istituzioni su modelli di governance che siano più vicini agli standard democratici. Se invece vogliamo rassegnarci all’idea di un continente irrecuperabile e, in fondo, ancora lontano dalla nostra quotidianità (ma neanche troppo visti i crescenti flussi migratori di persone che fuggono la propria miseria), questo finirà per diventare l’enorme feudo di potenze che, non cambiando di una virgola le disuguaglianze in Africa, la useranno per rafforzarsi e portare avanti il ridimensionamento di un Occidente che risulta qui già molto evidente.

Libia – Il fantasma di sabbia

libiaA quasi tre anni dalla morte del sanguinario Gheddaffi non si ferma la decomposizione della Libia come stato. Dopo la fuga in massa degli ambasciatori da Tripoli è stata la volta del governo, che ha spostato tutti gli uffici e ministeri nella città orientale di Tobruk, ricordata ai più per esser stata assediata nella seconda guerra mondiale dal celebre generale tedesco Erwin Rommel.

Oggi non c’è più la svastica o i panzer a minacciare questa città, ma una galassia di miliziani che con le loro mitragliatrici, razzi e pick up hanno lentamente ma inesorabilmente tolto il tappeto da sotto i piedi delle autorità libiche. E la sfida da combattere per quest’ultime diventa ogni giorno più insormontabile. Continua a leggere Libia – Il fantasma di sabbia

Libia – Guerra tra bande

20140729-165049-60649897.jpgTripoli è in fiamme. Ieri un deposito di carburante di Tripoli ha preso fuoco e i pompieri sarebbero riusciti a spegnerlo in tempo se i combattimenti delle vicinanze non li avessero costretti a ritirarsi, mentre l’incendio si propagava ad un altra cisterna rendendo la situazione un incontrollabile rischio ambientale. La Libia è in fiamme. L’elezione del nuovo Parlamento sembrava potesse dare nuova legittimità alle deboli istituzioni di Tripoli, ma l’implacabile guerra di fazione ha rapidamente smorzato ogni entusiasmo e avvicinato la minaccia di uno smembramento del paese.
Le situazioni descritte sopra sono solo apparentemente diverse, ma hanno in comune due elementi che hanno accompagnato la Libia del dopo-Gheddafi come una maledizione: l’illusione che le cose potessero normalizzarsi prima o poi e il momento in cui essa deve fare i conti con delle milizie che stanno prendendo il sopravvento in un paese che non è mai rinato. Inutile semplificare tutto nell’ennesimo scontro tra islamisti e democratici. Sarebbe meglio parlare di una guerra tra bande di predoni. Continua a leggere Libia – Guerra tra bande

Siria – La bestia nera della guerra contro Assad

20140312-175513.jpgUn filmato diffuso pochi giorni fa dalla rete mostra le immagini di un edificio apparentemente abbandonato, dove un gruppo di persone viene fatto inginocchiare da un gruppo di uomini armati. Tra le persone piegate a terra ci sono degli adulti con la kefiah, il velo tradizionale dei popoli mediorientali, ma anche dei ragazzini con delle t-shirt colorate.
Attendono tutti in silenzio, mentre i loro sequestratori in uniforme e cappuccio si mettono a chiacchierare davanti alla telecamera, come se stessero girando un filmato amatoriale durante una vacanza. Forse anche per questo lo spettatore rimane scioccato dal momento in cui i miliziani alzano improvvisamente i loro fucili e fanno fuoco per massacrare le persone davanti a loro, non avendo pietà neppure per gli adolescenti. Questa è ISIL, il volto sempre più mostruoso dell’inferno siriano.

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Siria – Ginevra 2, una perdita di tempo?

Getty ImagesSi apre oggi a Montreaux, in Svizzera, la conferenza di pace conosciuta anche come Ginevra 2 per discutere una soluzione alla lunga guerra civile siriana. La vigilia dell’incontro è stata caratterizzata dalla proposta del segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon d’invitare al tavolo dei negoziati l’Iran, incontrando la ferma opposizione dei ribelli siriani che hanno minacciato di boicottare l’appuntamento. Per questo la comunità internazionale ha deciso di fare marcia indietro, lasciando così fuori da questo importantissimo confronto un paese il cui peso regionale risulta invece determinate per un’eventuale accordo.

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Siria – L’ONG che mette in imbarazzo il governo turco

ONG turchiaPiù di tre anni fa un gruppo di navi cariche di aiuti umanitari salpava dalle coste di Cipro alla volta della Striscia di Gaza. Lo scopo di questo viaggio non era solo quello di portare soccorso ad una popolazione martoriata dall’isolamento, ma soprattutto forzare il blocco navale imposto dall’esercito israeliano sui Territori palestinesi.

Il resto è storia nota: le forze israeliane abbordarono le navi per costringerle ad arrendersi, ma su una di esse, la Mavi Marmara, l’equipaggio si ribellò finendo per contare tra le sue fila nove morti. Le vittime erano tutti militanti dell’IHH, una ONG turca con sede a Istanbul che con quell’incidente sarebbe divenuta nota in tutto il mondo. Oggi l’associazione ha fatto parlare di sé in termini ancora una volta molto controversi. Continua a leggere Siria – L’ONG che mette in imbarazzo il governo turco

Sud Sudan – I ribelli di Machar al contrattacco. Juba ad un passo dall’assedio

Altro che situazione sotto controllo. Ad una settimana dai primi scontri nella capitale Juba che hanno sfiorato il colpo di Stato e hanno spinto il presidente Kiir imporre il coprifuoco, la ribellione dell’ex vicepresidente Riek Machar ha alzato decisamente il tiro prendendosela non solo con le truppe governative, ma anche con i soldati ONU che ha iniziato a sua volta il ritiro di tutto il “personale non necessario” verso l’Uganda. Il passo da qui alla guerra civile appare più breve che mai. Continua a leggere Sud Sudan – I ribelli di Machar al contrattacco. Juba ad un passo dall’assedio

Sud Sudan – Kiir e Machar ad un passo dalla guerra civile

20131218-085433.jpgQuando si parla di Salva Kiir viene subito alla mente il suo sorriso giovale e l’inconfondible enorme cappello da cowboy nero che lo fa sembrare più un proprietario di un ranch che il presidente del più giovane Stato africano, il Sud Sudan nato appena due anni e mezzo fa.
Ma quando Kiir è comparso lunedì pomeriggio alla stampa il suo viso era molto più grave del solito come pure il suo abbigliamento con uniforme mimetica da militare. Fino a poche ore prima nelle strade della capitale Juba si stava combattendo una battaglia tra i seguaci di Kiir e il suo rivale Riek Machar. Una guerra che accompagna il paese da prima dell’indipendenza e che si aggiunge alla miriade di problemi che rischiano di trasformare il Sud Sudan in uno dei tanti stati falliti della regione. Continua a leggere Sud Sudan – Kiir e Machar ad un passo dalla guerra civile

Siria – L’incognita dello smaltimento delle armi chimiche

20131211-134819.jpgAll’indomani dell’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Russia sullo smantellamento dell’arsenale chimico di Bashar al-Asad, la comunità internazionale si è affrettata a salutare questa proposta come un’inaspettata ancora di salvezza. Per Obama era l’unico modo di evitare un conflitto impopolare e dagli esiti molto incerti; a Putin (il principale promotore dell’idea) ciò ha consentito di guadagnarsi un po’ di prestigio ed evitare la perdita di un importante alleato regionale; infine ai principali rivali del Golfo (Israele, Arabia Saudita, Iran) non è dispiaciuto il mantenimento di un caos che in fondo garantisce molta più stabilità di un accelerato cambio di regime. Ma nonostante siano già passati alcuni mesi la situazione nonostante la minore attenzione dei media è ben lungi dall’essere migliorata. Continua a leggere Siria – L’incognita dello smaltimento delle armi chimiche