L’America da tesi ad antitesi

Dopo mesi di attesa la tanto annunciata incriminazione di Donald Trump è arrivata. Si parla di oltre 30 capi d’accusa che vanno dal falso in bilancio alla frode elettorale, passando per la cospirazione contro i cittadini fino alla detenzione di documenti segreti) accusa rivolta anche ad altri politici illustri, compreso l’attuale presidente americano Joe Biden, con la differenza che nel caso di Trump ciò fosse stato fatto deliberatamente).

Per molti, soprattutto di fede repubblicana ma non manca qualche democratico, l’impianto accusatorio non si presenta come particolarmente solido e rafforza l’idea che le vicende giudiziarie del tycoon siano solo un pretesto per sabotargli la campagna elettorale delle presidenziali del 2024. Non è dato ancora sapere quante sono le possibilità che Trump venga condannato, anche se nonostante quello che sta accadendo sembra godere di un consenso sempre molto forte a scapito dei rivali repubblicani, i quali sono costretti ad inseguirlo nei suoi toni apocalittici per recuperare qualche punticino nei sondaggi. 

Comunque stiano o staranno le cose questa prima volta di un ex presidente indagato dalle autorità giudiziarie getta un’ombra molto lunga sulle istituzioni d’Oltreoceano. Da anni ormai la classe dirigente americana non sta dando una buona prova di sé. Conclusa l’era di speranze sempre più deluse di Barack Obama, gli Stati Uniti si sono impantanati in un dibattito pubblico dai toni a dir poco feroci.

Quante volte abbiamo sentito parlare in passato dell’America come il massimo esempio della democrazia occidentale, di questa contrapposizione quasi mitologica tra Repubblicani e Democratici che pareva dovesse riplasmare il globo con le ‘nobili cause’ dell’uno o dell’altro schieramento? Quasi niente di tutto questo è rimasto, a cominciare dal carisma dei leader in corsa. Altro che Lincoln, Roosevelt, Kennedy o Reagan o dei grandi progetti che hanno accompagnato queste figure come il New Deal o il Reaganomics. 

La contesa adesso è tra un candidato in cerca di una rivincita (per non dire vendetta) che non ha mai ammesso la propria sconfitta elettorale ed un presidente in carica che sconta un’età troppo avanzata nel contesto problematico in cui si trova a guidare la nazione più potente del mondo. Ognuno si propone a riflesso dell’altro, nel senso che bisogna votarlo quasi esclusivamente per tenere fuori la fazione avversa, mentre per capire che visione del paese vogliono portare avanti bisogna interpellare quasi un oracolo. 
La conseguenza di questo approccio è che il dibattito politico sta perdendo ogni parvenza di civiltà e si sta trasformando in una lotta senza esclusione di colpi, in cui si demonizza continuamente l’avversario e si frantuma così una società il cui tessuto è già molto sfilacciato per una serie di altre ragioni (economiche, geografiche, ecc.). 

Più che un modello per le democrazie occidentali gli Stati Uniti si stanno tramutando in una specie di antitesi di quello che dovrebbe essere, con i sintomi più esasperati di una degenerazione politica che interessa anche le democrazie europee ed asiatiche in modo più o meno marcato secondo il paese. Tale situazione è in stridente contrasto con lo strombazzato ricompattamento occidentale contro le emergenti autocrazie russe e cinesi, perché più che un’unità d’intenti esso risulta im prevalenza strumentale a fare opposizione contro il comune nemico. 

Se questo redivivo scontro “contro il male” dovesse avere una durata non troppo lunga la “coalizione dei volenterosi” (per riprendere un’espressione cara ai vecchi repubblicani) potrebbe anche reggere in qualche modo, ma col passare del tempo i fattori di disgregazione sopracitati finiranno per avere la meglio fino a mettere a repentaglio l’unità stessa del fronte occidentale.
Per vincere la sfida lanciata dalle potenze revisioniste, le democrazie liberali devono prima di tutto riflettere profondamente su cosa stanno diventando per riuscire prima o poi a guarire da questi mali e a rigenerare il proprio modello. Solo così possono renderlo nuovamente accattivante per quella parte di mondo che si sta ancora facendo strada nella comunità internazionale (Africa in primis). In alternativa il fronte anti occidentale ed antidemocratico è destinato non solo a rafforzare il proprio accerchiamento, ma anche a far breccia in quei (non pochi) paesi già sedotti dalla favola dell’uomo forte e del nazionalismo che renderanno il mondo un posto ben peggiore di quello che lamentiamo oggi.

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