Dopo un’assenza dovuta ad impegni lavorativi eccomi di nuovo a scrivere di questa politica internazionale sempre più caotica. Dimenticate la Siria, la Libia o l’Iraq come se queste crisi si fossero magicamente risolte da sé, il tema caldo adesso è quanto sta succedendo in Yemen.
Di quanto stia messo male questo paese ne avevamo già parlato in precedenza, anche se l’attenzione mediatica si è svegliata solamente ora che la crisi ha iniziato a contagiare i paesi vicini. Ma a far discutere sono le contraddizioni che essa rivela dietro l’apparente distensione che ha accompagnato le trattative sul nucleare iraniano. Continua a leggere Yemen – Guerra e pace →
Quegli splendidi Lamassù, le divinità alate dal corpo di toto o leone e la testa d’uomo rano sopravvissuti a trenta secoli di storia, nonostante la ferocia di tutti gli imperi che si sono combattuti per affermare la propria egemonia sulla regione che ha dato i natali alla civiltà. Poi sono arrivati i martelli e i bulldozer dei nuovi barbari che di quella stessa civiltà (“falsi idoli” li chiamano) non vogliono lasciare più traccia.
Le immagini di questi giorni delle distruzioni dei monumenti assiri di Mosul e della città di Nimrud, nel nord dell’Iraq, lasciano una ferita profonda non soltanto in questo martoriato paese. Esattamente come successe con la scomparsa del minareto Omayyadi di Aleppo o i mastodontici Buddha afghani di Bamiyan a rimanere segnata è tutta l’umanità, la quale per colpa di una violenza cieca e insensata sta perdendo in modo irrimediabile parti della sua eredità. Continua a leggere Iraq – Il sonno della ragione→
“Il re è morto! Viva il re!” si diceva un tempo ad ogni trapasso di un monarca. “Chissà quanto durerà il prossimo” verrebbe da aggiungere parlando della casta degli al-Saud, i quali hanno appena vissuto un grave lutto con la scomparsa di re Abdullah bin Abdulaziz, che se fosse sopravvissuto fino ad agosto avrebbe festeggiato contemporaneamente 10 anni di regno e ben 91 primavere.
Ora gli succede il fratello Salman (nella foto qui sopra), che di primavere ne ha ‘solo’ 79, non proprio una garanzia di stabilità politica per la più potente petromonarchia del Medio Oriente. Ma a minacciare il futuro dell’Arabia Saudita non è soltanto l’età avanzata che contraddistingue sempre i suoi leader, quanto una serie di manovre politiche del passato che invece di accrescerne l’influenza regionale gli si potrebbero ritorcere contro in modo fatale. Continua a leggere Arabia Saudita – Il panino di sabbia→
Alla fine invece di collezionare l’ennesima figuraccia sulla questione iraniana le grandi potenze hanno preferito temporeggiare. Pochi giorni fa scadeva infatti il termine ultimo per raggiungere un accordo a Vienna sul nucleare iraniano, una trattativa che si sta portando avanti da almeno un decennio con risultati quasi mai brillanti.
Con l’avvento del governo del moderato Hassan Rohani si era diffusa la speranza che la fine della trentennale ostilità tra Teheran e gli Stati Uniti fosse a portata di mano. Salvo poi ricredersi quando l’ultima fase di negoziati cominciata lo scorso autunno è stata rimandata più volte, frustrando l’ottimismo iniziale. Il momento della verità adesso dovrebbe giungere tra il prossimo marzo e luglio, sempre che questa sia veramente la volta buona. Continua a leggere Iran – L’eterna trattativa→
“L’offensiva potrebbe durare anni” è stato il commento del generale americano William Mayville sull’intervento dei volenterosi contro lo Stato Islamico (IS), dove si è assistito all’entrata in azione di peso della Francia. Che proprio ieri ha pagato il suo primo tributo di sangue con la decapitazione in Algeria di Hervé Pierre Gourdel, un turista transalpino catturato in Nord Africa da un gruppo jihadista vicino ai guerriglieri del califfato.
Che la natura delle operazioni convinca o meno – dei raid aerei difficilmente riusciranno a cancellare un’entità molto più strutturata dei terroristi tradizionali – c’è un altro elemento che va sondato, ovvero il coinvolgimento di tutte le potenze regionali nella risoluzione della crisi. E tra questi c’è anche l’Iran con il quale l’Occidente, nonostante l’ostilità di facciata, sta intessendo di nascosto un dialogo sempre più serrato. Continua a leggere Iran – Corteggiamenti nell’ombra→
Dall’annunciata ritirata dall’Iraq alla nuova coalizione dei volenterosi. La parabola mediorientale di Barack Obama somiglia ad un pendolo che dopo essersi allontanato dal ginepraio iracheno si vede costretto a ritornarci e rischia di essere catturato anche da nuovi buchi neri, come quello siriano. Proprio in questa regione il presidente americano ha annunciato ieri un nuovo impegno del suo paese al fine di schiacciare i guerriglieri dell’ISIS, che con il loro califfato e gli orrori pubblicizzati ovunque minacciano gli equilibri locali e anche quelli globali.
Ancora una volta la Casa Bianca ha tenuto a precisare che non si combatterà una nuova guerra – la crisi economica non va tanto d’accordo con gli avventurismi di Bush jr. – e che le operazioni militari faranno uso prevalentemente di raid aerei e obiettivi mirati. Malgrado i recenti successi nel nord dell’Iraq, le probabilità che questa ‘chirurgia militare’ non basti a cancellare del tutto la minaccia jihadista sono alte, senza contare che la timida quanto ambigua posizione Usa potrebbe destabilizzare ulteriormente la stabilità dell’area. Continua a leggere Siria – La diplomazia alla frutta→
Alla fine ci è scappato il primo morto e vista la tensione potrebbero essercene anche degli altri. Sta degenerando sempre di più la protesta del clan sciita degli Houthi, che da settimane si sono piazzati a migliaia nella capitale Sanaa per chiedere al governo le sue dimissioni e il ripristino dei sussidi per il carburante.
Nonostante i manifestanti avessero adottato metodi di protesta non violenti, ossia di disobbedienza civile simboleggiata dai nastri gialli che indossano, le forze dell’ordine hanno reagito nel peggiore dei modi. Perché tanta ferocia nei confronti degli Houthi? Continua a leggere Yemen – La rivolta dei nastri gialli→
Appena due anni dopo la fine della missione americana e poco più di un mese dalle elezioni parlamentari, l’Iraq sembra essere sul punto di scomparire dalla cartina geografica e lasciare il posto ad almeno tre nuovi soggetti. In pochi giorni le milizie islamiste dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno realizzato una serie di successi militari tra il Nord e l’Ovest del paese che rischiano di far saltare il governo centrale e con esso l’integrità territoriale dello stato.
Le cause che hanno portato a questo disastro ovviamente non arrivano come un fulmine a ciel sereno, ma sono il frutto di divisioni interne di lungo corso che l’incerto contesto geopolitico di questi ultimi anni ha esasperato fino a livelli ormai intollerabili. E dire che di segnali importanti sulla tempesta che si stava approssimando ce ne sono stati. Peccato che la comunità internazionale fosse distratta altrove o magari credeva che la riconferma del premier al-Maliki potesse servire da bacchetta magica per i problemi che nel frattempo si accumulavano indisturbati. Continua a leggere Iraq – Il collasso tra il Tigri e l’Eufrate→
Stando agli annunci quello del Qatar 2022 doveva essere un mondiale rivoluzionario, tanto per gli stadi avveniristici con aria condizionata e location da favola (uno di essi dovrebbe essere costruito su una penisola bagnata dal Golfo Persico) che per il probabile spostamento dell’evento in inverno, visto che le temperature estive laggiù possono raggiungere anche i cinquanta gradi.
Il primo mondiale mediorientale ha fatto però anche molto discutere sulle durissime condizioni lavorative nei suoi cantieri, dove gli operai di varie nazionalità accorsi a trasformare in realtà il grandioso giocattolo degli al-Thani sarebbero già morti a centinaia per le condizioni di lavoro disumane. In questi giorni si sta però facendo strada un altro scandalo molto più grave che avrebbe conseguenze non solo per il piccolo emirato, ma anche per il colosso FIFA sempre più gravido di problemi. Continua a leggere Qatar – Imbarazzi mondiali→
Questa settimana in Iraq si sono svolte le prime elezioni parlamentari da quando le truppe americane hanno lasciato il paese dopo quasi dieci anni di occupazione. Alla vigilia del voto non sono mancati diversi attacchi terroristici contro la popolazione civile, anche se l’alta frequenza degli attentati nel paese non rende questo appuntamento molto diverso dalla triste quotidianità.
Il candidato dato più probabile come vincitore è il premier Nuri al-Maliki, l’attuale premier iracheno che governa ininterrottamente dal 2006, quando negli Stati Uniti c’era ancora George W. Bush e il mondo arabo era retto da un equilibrio faticosamente costruito in trent’anni di accordi bilaterali e trattati di pace. Inutile dire quanto sia cambiato il contesto da allora e di quanto questo abbia inevitabilmente toccato lo stesso Iraq. Un paese molto più debole e a rischio disintegrazione di quello che aveva ereditato al-Maliki al momento della sua ascesa.