Il futuro di Blade Runner è oggi. Siamo ormai molto vicini a quel 2019 descritto nel capolavoro di Ridley Scott e arriva domani al cinema il sequel del famosissimo film del 1982. Diretto questa volta da Denis Villeneuve, ma prodotto da Ridley Scott, si sposta trent’anni dopo la storia di Rick Deckard (Harrison Ford) esasperando ancor di più la visione disincantata e volutamente tetra del primo capitolo.
Al centro delle vicende il misterioso agente K (Ryan Gosling) e un’indagine che poggia le proprie radici su un passato lontano e che coinvolge anche Rick Deckard scomparso ormai da decenni. Una storia sepolta farà il suo ritorno rischiando di portare l’intera società ai limiti del caos.
Blade Runner 2049 ha tutto per poter diventare un classico dei nostri tempi: sa trasmettere quel senso di vuoto esistenziale toccando metaforicamente i grandi temi del nostro presente. La ricerca di un’identità, il precariato esistenziale, la solitudine di una società individualista e l’infinita oscurità di un pianeta sovrappopolato e sconvolto da inquinamento e cambiamenti climatici sono i cardini su cui si regge. Questo senso di sconforto emozionale contrasta dimensionalmente con la magnificenza delle scene, delle scenografie e delle atmosfere restituendoci i fasti del primo film.
Blade Runner 2049 prova a descrivere i mali del nostro tempo ruotando attorno al concetto di solitudine: una società piena di povertà morale e materiale gestita per lo più da replicanti e questo (scusate il gioco di parole) replica fedelmente lo stile disilluso e amaro cardine del primo Blade Runner.
Negli anni ’80, in un momento dove spesso il domani veniva affrontato con positività e onirica illusione, pose interrogativi sulle reali potenzialità di quello che definiamo futuro dandocene una versione oscura, cupa e pessimista qui ampliata maestosamente e resa più conforme ai nostri giorni.