Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere e vivere. (Dalai Lama).
Questo alla base del nuovo film di Morten Tyldum. Passengers non è soltanto un viaggio spaziale ma un percorso sul senso del vivere e del programmare.
In un futuro in cui la terra soffre una crisi da sovrappopolamento l’astronave Starship Avalon compie un viaggio verso la colonia Homestead II con a bordo 5259 persone tra equipaggio e passeggeri. Il suo compito è quello di arrivare, dopo 120 anni, in questo nuovo paradiso. Tutto sembra procedere nel migliore dei modi fino a quando, 30 anni dopo la partenza, la capsula criogenica di un passeggero subisce un malfunzionamento e Jim Preston, questo il suo nome, viene così risvegliato da solo, 90 anni prima dall’arrivo previsto e senza nessuna possibilità di potersi riaddormentare.
Questa pellicola va valutata in due diverse sfere: se consideriamo la prima componente, quella fantascientifica il film non è certo un esempio di originalità. Tante le situazioni già raccontate. Particolare la forma dell’astronave, con questa rotazione, questo senso di eterno movimento di Kubrickiana maniera.
Se invece analizziamo la seconda fase, quella relativa al messaggio, allora si possono scoprire numerosi spunti narrativi: il senso del presente, l’illogica ricerca di un futuro che non ha consistenza e la metafora della solitudine dell’uomo incarnato dal silenzio dello spazio offrono tematiche molto interessanti e affrontate con sufficiente destrezza a discapito della classica azione che ci si aspetta da un film di fantascienza. Il senso dell’esistenza e del destino sono al centro della riflessione. Interpretato da Chris Pratt e Jennifer Lawrence Passengers possiede una sua identità definita e questo lo rende un film da non sottovalutare.