Ci sono film che entrano nell’immaginario collettivo, che diventano parte integrante del nostro costume, che rappresentano nitidamente un momento della nostra vita al quale siamo nostalgicamente attaccati ed Independence Day è senza dubbio uno di questi. Oggi, a 20 anni di distanza dal primo capitolo, eccoci a commentare e ad approfondire il suo sequel, Rigenerazione, uscito l’8 settembre nelle sale, diretto anche questa volta da Roland Emmerich.
Partiamo da un dato di fatto: la pellicola non è all’altezza del primo capitolo. Questo aspetto non è legato agli effetti visivi o alla storia, che coraggiosamente apre orizzonti più vasti, ma ai personaggi e nel processo di drammatizzazione degli eventi. Questa scelta di avvicinare la forza terrestre a quella aliena di fatto annulla quel senso di disperazione e impotenza del primo film su cui però si fondava il coinvolgimento emotivo del pubblico. Inoltre per quello che concerne la componente più leggera e divertente del film l’assenza di Will Smith pesa in termini di personalità, le interpretazioni dei nuovi attori risultano superficiali, i personaggi sembrano appena abbozzati senza la necessaria attenzione e Jeff Goldblum non può far tutto da solo.
Uno dei difetti inoltre è l’aver decontestualizzato la trama: il mondo è fantascientifico, la realtà nel film non è vicino alla nostra come accadeva nel primo film. Questa situazione sgonfia pesantemente il processo di immedesimazione del pubblico e il suo coinvolgimento. Manca disperazione, manca la catastrofe percepita da ognuno di noi.
Ma non tutto è da buttare: ottimi gli effetti speciali, apprezziamo il coraggio della storia e l’entrata in scena di nuove razze e della regina. E la coraggiosa idea di un terzo capitolo ambientato totalmente nello spazio, capovolgendo di fatto il fondamento stesso su cui si poggia il tutto, ci incuriosisce e preoccupa allo stesso tempo.