Giappone – Gli spettri di Hiroshima

Liaoning“Anche i vecchi nemici hanno bisogno di trovare pace”. Queste parole sono di Shigeaki Mori, un anziano storico di Hiroshima che ha dedicato trent’anni a cercare informazioni sui prigionieri di guerra americani che come lui si trovavano nella città dove venne sganciata la prima bomba atomica della storia il 6 agosto 1945.

Mori sopravvisse, i soldati no e scopo di questo suo impegno era di dare un sollievo alle loro famiglie. Un gesto di conciliazione non molto diverso dal suo abbraccio di oggi con Barack Obama, il primo presidente americano in assoluto a recarsi durante il suo mandato nella città simbolo dell’olocausto nucleare.

“Costruiamo un mondo senza armi nucleari” è stato l’auspicio di Obama, che nella sua visita non ha chiesto scusa per quanto fatto allora dal suo predecessore Truman. Nonostante il dibattito ancora acceso sull’opportunità di quell’attacco nucleare, la maggior parte degli storici concorda sul fatto che esso pose fine all’espansionismo giapponese che mise l’Asia in subbuglio per mezzo secolo.

Da quel momento il continente, a parte le parentesi di Corea e del Vietnam, visse una stagione relativamente pacifica sotto l’egemonia americana e ciò diede il via ad un periodo di grande sviluppo e di crescente interdipendenza che, esattamente come avvenne in Europa, sembrò allontanare per sempre la minaccia di una nuova grande guerra.

Negli ultimi anni ci sono stati però dei segnali meno incoraggianti, come l’ascesa della Cina, potenza nucleare che sta anche rafforzando la propria marina con la costruzione di nuove portaerei. Inoltre è di questi giorni la notizia di futuri pattugliamenti del Pacifico con sottomarini cinesi di classe Jin, in grado di armare una dozzina di testate nucleari JL-2 ciascuno.

La mossa viene letta in chiave delle tante rivendicazioni che Pechino muoverebbe contro i suoi vicini, tra cui l’annosa disputa con Tokyo sulle isole Senkaku/Diaoyu. Altri la interpretano come risposta alla strategia obamiana conosciuta come pivot to Asia, che punta a trasformare l’Estremo Oriente nel principale teatro geopolitico per gli interessi americani.

Ai fini del pivot to Asia ci sarebbe però una maggiore distribuzione degli oneri militari agli alleati americani locali, compreso un eventuale riarmo giapponese che agiterebbe non poco le acque visto il suo passato. Anche se il nuovo presidente americano dovesse abbandonare il pivot to Asia, la tendenza ad una maggiore militarizzazione asiatica pare essere ormai avviata. E con essa il rischio di incidenti e il ritorno di preoccupanti dinamiche che si credevano lasciate alla sola memoria.

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