Africa still rising – La promessa africana secondo l’ISPI

ISPI Africa“Nell’ultimo decennio sei delle nazioni che sono cresciute di più al mondo sono africane”. Sentire una cosa del genere può suonare strano a chi è abituato a pensare all’Africa come un luogo senza speranza, dove povertà e violenza sono realtà endemiche da anni.

Eppure molti analisti fino a pochi anni fa erano già usciti da questo drammatico immaginario collettivo, prospettando al continente un futuro pieno di prospettive. L’autorevole settimanale britannico Economist ad esempio nel 2011 fece uscire un suo numero in cui l’Africa volava come un variopinto aquilone verso orizzonti migliori.  Tanto ottimismo precedeva di poco le terribili conseguenze che le primavere arabe, la crisi economica e il riesplodere di numerosi conflitti in vari paesi avrebbero comportato sullo sviluppo africano.

Dedicato proprio a questo tema è stato l’incontro dell’ISPI svoltosi ieri a Roma nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica. La conferenza è stata infatti occasione di presentare il nuovo rapporto  “Africa: Still Rising?” del noto istituto di Politica Internazionale, a cura del Professore di Scienza Politica Giovanni Carbone.

L’analisi parte dall’esigenza di rivedere le stime che l’ISPI aveva diffuso nel 2013, quando condividendo ancora lo spirito ottimistico di allora vedeva una crescita sostenuta (+5% di media) specialmente nell’Africa subsahariana e in paesi come Angola, Kenya, Nigeria o Sudafrica che sembravano avviati in un percorso democratico.

Secondo Carboni tale vento favorevole è poi rientrato a causa di due fattori che hanno avuto un impatto molto pesante. Non è stato certo l’Ebola – una crisi tutto sommato circoscritta a un pugno di paesi – quanto la diffusione del jihadismo e il crollo dei prezzi delle materie prime – specialmente idrocarburi, minerali e terre rare – da cui dipende buona parte delle esportazioni di questi paesi.

Ciò implica che da un lato bisogna discriminare meglio i paesi/mercati invece di dedicarsi quasi esclusivamente ai produttori di petrolio e dall’altro favorire politiche inclusive e una crescita condivisa per vincere alla radice i conflitti che stanno piegando l’Africa.

EconomistMolto più dettagliata l’analisi economica di Giulia Pellegrini, Global Economic Research della JPMorgan – Londra, per la quale la crescita in passato è dipesa molto da questo Commodity supercycle (alti prezzi delle materie prime ndr), dalla volontà di riforme politiche e da condizioni finanziare globali favorevoli, tra cui un ricorso al Quantitative easing che ha aumentato la liquidità, favorendo gli investimenti stranieri.

Ora invece oltre al sopracitato crollo dei prezzi delle materie prime si ha a che fare con la minaccia da parte dei maggiori istituti bancari di un aumento dei tassi d’interesse, riducendo di conseguenza i margini d’investimento.

Il conseguente rallentamento economico ha messo in luce tutte le difficoltà economiche del continente, a cominciare dai mercati poco differenziati (le esportazioni nazionali spesso dipendono da 4-5 merci), dalla mancanza cronica d’infrastrutture nonostante una spesa pubblica in continua crescita fino a indebitare nuovamente paesi come il Ghana che erano riusciti a mettere i conti in ordine.

Altro fattore da non sottovalutare è  la crescita demografica che vede l’ingresso di sempre più giovani con scarse opportunità di crescita. Un dato a dir poco evidente di tale immobilismo è lo scarso o quasi nullo incremento in proporzione nella società della classe media, la quale rappresenta il soggetto che potrebbe favorire una maggiore vivacità economica, oltre che politica.

Una strada per uscire da questo momento di difficoltà potrebbe venire dall’Europa, in particolare dall’Italia, come hanno sottolineato l’ex viceministro degli Esteri Lapo Pistelli e l’ex sottosegretario degli Esteri Alfredo Mantica.

Pistelli, che oggi lavora all’Eni, mette in evidenza le potenzialità in Africa non soltanto a livello di risorse, ma pure le prospettive che può offrire per le superfici arabili e anche nello sviluppo delle energie rinnovabili.

Mantica invece ricorda quanto l’Africa sia vicina al nostro paese, il quale vanta una lunga storia di interventi nel continente a livello diplomatico, in particolare nel processo di pace tra il Nord e il Sud del Sudan.

Anche a livello economico le aziende italiane vi sono molto presenti, sebbene si debba sostituire ad una logica assistenzialista quella di una collaborazione tra le organizzazioni no profit e quelle private per garantire uno sviluppo più sostanziale nella società.

Inoltre l’Italia è toccata molto da vicino da questioni di sicurezza a causa del fenomeno crescente della migrazione, di cui si sta discutendo proprio in questi giorni a Malta tra i governi dell’Unione Europea e quelli africani.

Proprio di quest’ultimo aspetto ha parlato Lia Quartapelle della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati. A suo parere il summit a La Valletta rappresenta l’occasione per rilanciare il dialogo tra Europa e un continente divenuto decisamente rilevante negli assetti di stabilità mondiale, ma che deve al contempo gestire quasi un terzo dei rifugiati globali (contro un 3% dell’Ue).

La strada non sarà facile, e i risultati effettivamente non sembrano promettere bene, vista anche la divisione tra quei paesi che vogliono subordinare lo sviluppo a misure di contenimento dei flussi migratori. Oltre a ciò Quartapelle suggerisce un intervento di più ampio respiro che non coinvolga solo i dicasteri degli Esteri, ma anche quelli che si occupano di tematiche ambientali e commerciali.

Nel corso dell’incontro ISPI non si sono dunque risparmiati dati e dettagli sulla situazione economica dei paesi africani, spingendo l’Europa ad assumersi le sue responsabilità per aiutare l’Africa da uscire da un sottosviluppo tutt’altro che inevitabile.

A parere dell’autore una mancanza non trascurabile della conferenza è però non aver affrontato  nel dibattito un ostacolo che grava sulle possibilità di sviluppo di questi paesi. Dopo gli apparenti venti di democrazia nei precedenti anni l’Africa abbonda di élite corrotte o peggio di reti criminali transnazionali che spesso vanificano gli effetti degli investimenti e degli aiuti esteri.

In mancanza di un incisivo cambiamento politico in questo senso tutti i miliardi e i summit dedicati all’Africa invece di servire a costtruire nuove infrastrutture serviranno ad ingrassare i soliti presidenti-padroni, warlords locali e terroristi.

 

 

 

 

 

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