Ridley Scott ritorna agli antichi splendori, ci conduce in un viaggio unico alla scoperta di Marte. The Martian, tratto dal romanzo L’uomo di Marte di Andy Weir, è stato un vero successo al botteghino e questo da nuovo lustro al regista di Alien e Blade Ranner.
Molti di voi l’avranno certamente visto e anche chi vi scrive dunque analizzeremo gli aspetti di questo grande successo cercando di andare al di là della semplice recensione.
Tre gli elementi di grande forza ed efficacia: la semplicità, l’approccio “leggero” della storia e una serie di effetti speciali davvero convincenti. Sin dalla prima inquadratura comprendiamo la forza di questo prodotto: iniziamo sapendo che siamo in un film di Ridley Scott, testimoniato da quella serie di suoni iniziali di alieneggiante memoria (come fossero la sua firma artistica) per poi dirigerci in un’atmosfera tutta nuova e per certi versi inesplorata.
Il regista sceglie due strade vincenti: la prima riguarda la tonalità della storia, leggera e ritmata da una colonna sonora “vintage” stile Guardiani della Galassia; la seconda riguarda la sceneggiatura con caratteristiche semplici, ben lontana dal contorsionismo mentale e trascendente di Prometheus.
Il film si sviluppa attorno ad un tema centrale e cristallizzato nella storia del cinema: la lotta per la sopravvivenza in una situazione critica. Insomma poca filosofia, pochi voli pindarici e molta concretezza, questi i segreti del successo di The Matian.
E ora Alien: Paradise Lost, Ridley Scott è tornato.