Afghanistan – La guerra dei chirurghi

mdfSu un fronte ci sono i chirurghi tradizionali di Medici senza frontiere, quelli ancora equipaggiati con bisturi e tampone che si occupano di curare i malati dentro gli ospedali. Su quello opposto abbiamo i chirurghi di ultima generazione, quelli della NATO armati con missili fiammanti che servono a curare le democrazie o gli stati malati. Risultato di questo scontro impari: diciannove morti e trentasette feriti.

Errore umano o effetto collaterale, il bombardamento NATO sull’ospedale di Kunduz, in Afghanistan può essere chiamato come si vuole. Esso dimostra per l’ennesima volta i limiti dei cosiddetti raid mirati, il jolly con cui le grandi potenze sperano di vincere le guerre di oggi.

Obiettivo degli aerei dell’Alleanza Atlantica sarebbero stati i talebani che hanno conquistato questa città nel nord del paese alcuni giorni fa. Lo staff di Medici senza frontiere, che operava nella zona, ha tuttavia negato che vi fossero guerriglieri nelle vicinanze e vista la drammatica situazione gli operatori della ong sono stati costretti a trasferire la loro attività e i propri pazienti in altre strutture, con tutti i disagi del caso.

Comunque siano andate le cose la tragedia di Kunduz rivela l’inconsistenza di un mito dei nostri tempi globalizzati, ossia la guerra chirurgica. Mescolando l’atavica volontà di potenza con una spruzzata di quieto vivere civile, gli strateghi militari del XXI secolo dicono di aver abbandonato le operazioni indiscriminate di un tempo per colpire obiettivi mirati che non lascino vittime o seminino troppa distruzione tra la gente comune.

Simbolo di questa guerra ovattata sono i droni pilotati a distanza di migliaia di chilometri, i quali da un lato proteggono i soldati dall’impegnarsi direttamente in conflitti armati. Per contro spersonalizzano ancor di più il combattimento e ridimensionano il peso umano e psicologico delle scelte sul campo, i cui effetti sono spesso molto più devastanti (il fante ha in mano un mitragliatore, l’operatore un drone armato di potenti missili) di quanto potrebbe fare un singolo sul posto.

In molti s’interrogano sull’efficacia di questa nuova tattica, che ha avuto origine proprio nello scenario afgano-pakistano diversi anni fa per combattere i fondamentalisti talebani e di al-Qaeda. Allora non se ne parlava molto essendo una regione remota per un’opinione pubblica occidentale quasi assuefatta dal clima di violenza che si trovava da quelle parti. Poco importa che spesso a morire con i terroristi colpiti dai droni vi fossero parecchi civili.

Un apparente trionfo della guerra chirurgica lo si ebbe durante le primavere arabe del 2011, quando i bombardamenti mirati occidentali diedero un contributo non indifferente alla sconfitta del regime di Gheddafi. Con un potere più o meno costituito l’operazione sembra aver funzionato, ma le cose sono cambiate parecchio quando il conflitto è diventato asimmetrico con tanti più nemici da stanare.

A ben poco sembrano servire infatti i bombardamenti contro lo Stato Islamico in Libia e tantomeno nel suo quartier generale: la Siria devastata da quasi cinque anni di guerra civile ininterrotta. Qui addirittura si raggiunge il colmo del paradosso, con Stati Uniti, Francia e Russia che prima lanciano i raid e poi bisticciano se gli obiettivi da colpire fossero giusti o meno. Tutto questo con buona pace della popolazione locale, la cui unica colpa è di trovarsi in mezzo a questo caleidoscopio di fazioni rivali.

Venduta al pubblico come una forma d’intervento più sicura e studiata, la guerra chirurgica pare piuttosto una dimostrazione di forza fine a se stessa per convincere le rispettive opinioni pubbliche che si sta facendo qualcosa negli scenari più problematici.

Guardando però agli effetti concreti è chiaro come essa non possa costituire l’elemento risolutivo nella risoluzione dei conflitti. Tanto più che i raid, se non sono accompagnati da operazioni di peacekeeping e di stabilizzazione sul campo, possono contribuire a destabilizzare ancor di più il quadro, con la popolazione che si trova a subire una violenza tutto sommato inutile e deleteria per la sua fiducia verso la comunità internazionale. Quante altre Kunduz ci vorranno per capirlo?

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