Ci sono miti capaci di sopravvivere a secoli di storia, mentre altri ne subiscono la forza per poi scomparire nell’oblio. Parlando delle Alpi nella prima categoria possiamo citare la leggendaria traversata del cartaginese Annibale e dei suoi elefanti per raggiungere Roma. Nel secondo caso invece pare essere destinato il segreto bancario della Svizzera e del Liechtenstein.
Questa settimana sono stati firmati infatti due accordi bilaterali tra l’Italia e i due paesi alpini che mettono fine ad una delle questioni più controverse nei loro rapporti, specialmente in tempi di crisi economica e lotta all’evasione fiscale.
Secondo quanto dice il trattato l’Italia potrà richiedere informazioni sui conti depositati nelle banche elvetiche, al fine di scovare possibili evasori e favorire il rientro di capitali tramite il principio della voluntary disclosure. Quest’ultimo prevede che chiunque si dichiari entro settembre potrà mettersi in regola pagando delle sanzioni più basse di quelle previste normalmente.
Grazie a questa svolta il governo italiano conta di incassare almeno 5-6 miliardi di euro, una cifra comunque irrisoria rispetto al tesoro che si nasconderebbe nelle banche svizzere. Oltre allo scambio d’informazioni – l’inizio ufficiale è previsto nel 2018 – si è concordato anche per rendere più efficiente la tassazione sui frontalieri e facilitare l’accesso di imprese e banche svizzere nel mercato italiano.
Dello stesso tenore è l’accordo firmato oggi con il piccolo principato del Lichtenstein, altro famoso paradiso fiscale grande quanto un comune medio-piccolo, che conta assieme alla Svizzera di uscire dalla “black list” europea dei paradisi fiscali. Farne parte non è proprio il massimo, poiché si prevedono diverse restrizioni come una tassazione molto pesante sul capitale che viene trasferito da un paese di questo tipo in Europa.
La firma dei trattati conclude una lunga trattativa, ma s’inserisce pure in un contesto di crescente pressione internazionale verso la Svizzera e il suo modo di gestire le banche. Un clima esacerbato peraltro da alcuni scandali che hanno interessato prima il Lussemburgo (LuxLeaks), dove è stato svelato che il Granducato avrebbe concesso agevolazioni fiscali milionarie a varie multinazionali proprio nel periodo in cui era al governo l’attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.
Ancora più fresco è invece lo scandalo SwissLeaks che riguarda direttamente la Svizzera ed è esploso quando molti quotidiani hanno ufficializzato le indagini partite dalla cosiddetta “Lista Falciani”, dal nome dell’ex dipendente della banca svizzera HSBC che l’ha diffusa. In quest’elenco figurerebbero migliaia di conti con nomi eccellenti che avrebbero depositato i loro soldi nella Repubblica Elvetica usufruendo della sua proverbiale discrezione.
La mano dietro ad entrambe le inchieste è una nostra vecchia conoscenza: il Consorzio internazionale del giornalismo investigativo (Icij), autore di un altro scandalo del 2013 denominato OffShore Leaks che ha rivelato i conti nei paradisi fiscali di decine di personalità politiche, tra cui l’ex tesoriere di François Hollande e lo stesso presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe.