Il mondo creato da Tolkien e portato sul grande schermo da Peter Jackson conclude la sua parentesi al cinema.
Per chi come voi è cresciuto con il il mito della trilogia classica di Star Wars, con l’incantevole storia di Ritorno al Futuro e con i semplici lavori cinematografici targati Spielberg, con Star Trek, la serie classica, e non per ultima la trilogia del Signore degli Anelli si può dire soddisfatto della nuova trilogia dello Hobbit?
Tecnologia 3D, tecnica dei 48 fotogrammi al secondo (normalmente sarebbero 24) e uso smodato di computer grafica hanno fatto si di dare la sensazione che questa rivisitazione prequel altro non sia che un videogames ben riuscito.
La Battaglia delle Cinque Armate è inoltre il frutto di scritti e bozze lasciate dall’autore e che hanno di fatto diluito la storia del film. Un testo troppo breve per una trilogia cinematografica che abbia l’aspirazione ad eguagliare Il Signore degli Anelli. Scene eccessivamente lunghe e un ritmo in crescendo ma che da l’impressione si servire solo a riempire pellicola sono il leitmotiv di questi tre film.
Ma il difetto peggiore è senza ombra di dubbio l’artificiosità di sequenze e ambientazioni. E se abbiamo apprezzato gli ultimi istanti della pellicola dove ritroviamo paesaggi “reali” vecchio stile non lo stesso si potrà dire per il resto della storia. La precisione tecnica a cui siamo ormai abituati grazie ai videogames non consente più di apprezzare i fondali computerizzati, i luoghi ricostruiti in modo perfetto ma palesemente artificiali e artificiosi creati dalla computer grafica.
L’antico scontro tra le scenografie di Spielberghiana maniera (i Goonies ad esempio), grottesche, ingenue ma che contribuivano a costruire atmosfere e sogni e questa nuova frontiera della visione per adesso si sta rivelando un fallimento per le tecniche di oggi. Il palesarsi dei limiti della computer grafica interrompe infatti l’illusione del film, interrompe la catarsi facendo decadere le atmosfere e quel senso del vero che si cela dietro la finzione filmica. Insomma tutti siamo ormai in grado si accorgerci dove finisce la realtà e inizia la macchina, l’artificio.
Speriamo che Peter Jackson e tutti i registi contemporanei riflettano su questo aspetto.