Quando Ashgabat dichiarò la propria indipendenza dall’Unione Sovietica una ventina di anni fa, l’Italia fu uno dei primi paesi a riconoscere la neonata repubblica centrasiatica. Eppure fino allo scorso dicembre non esisteva ancora un’ambasciata italiana nel paese, mentre continua a non essercene una turkmena a Roma.
Proprio in questi giorni il premier Matteo Renzi si è recato in Turkmenistan per rafforzare i rapporti con un paese di cui qualche tempo fa avevamo già descritto le enormi potenzialità, soprattutto economiche. La visita ricopre dunque un’importanza notevole e ciò non soltanto dal punto di vista italiano, perché essendo Renzi anche presidente di turno dell’Unione europea aiuterebbe indirettamente quest’ultima a non restare troppo indietro per la delicata partita dello scacchiere centrasiatico.
Esattamente come la missione di Renzi in Kazakhistan di qualche mese fa, la tappa in Turkmenistan mira a costruire un rapporto sistematico tra i due paesi siglando accordi del valore di un miliardo di dollari. Ciò significa estendere gli ambiti commerciali nell’industria vinicola – “hanno ottime vigne, ma non sanno fare il vino” osserva il nostro ambasciatore Marco Mancini – nell’arredamento, nell’edilizia e in settori più importanti come infrastrutture, scienza e tecnologia.
Se gli impegni presi fossero veramente portati fino in fondo sarebbe una buona cosa per il nostro paese, ma anche per lo stesso Turkmenistan, al quale farebbe comodo diversificare fin da subito la sua economia per non imbattersi nelle stesse storture che minacciano quei paesi che campano sulla rendita da idrocarburi (Russia o petromonarchie in testa).
Che si presti fede o meno alle parole del premier Renzi su cosa dovrebbe caratterizzare la rinnovata amicizia tra Roma e Ashgabat, le voci gas e petrolio resteranno sicuramente il piatto forte delle future relazioni commerciali. Anticipando come spesso accade le mosse dell’esecutivo politico, l’Eni è presente nel paese da diversi anni con in mano dei succosi contratti di sfruttamento in alcuni blocchi.
Nello stesso momento in cui Renzi si trovava in Turkmenistan, il colosso energetico italiano ha perfezionato gli accordi che interessano il giacimento onshore di Nebit Dag ed eventuali attività nei siti offshore nel Mar Caspio, dove però l’ambigua ripartizione dei confini marittimi con i vicini russo, azero e iraniano complicano le possibilità di sfruttarne il tesoro nascosto.
Come dicevamo prima l’arrivo del premier italiano ha una valenza anche comunitaria, poiché rivestendo la carica di presidente di turno dell’Ue egli fa necessariamente da tramite anche dei suoi interessi. Per un continente in cerca di fonti di approvvigionamento energetico alternative alla Russia, il Turkmenistan costituisce un partner molto attraente, specialmente se dovesse venire in porto l’oleodotto Transcaucasico per trasportare il gas turkmeno fino alla Turchia e da qui in Europa.
L’esito tuttavia non è da dare per scontato. Innanzitutto vi sono concorrenti molto agguerriti come la Cina, che gode di una prossimità e una penetrazione di gran lunga maggiore rispetto al lontano Occidente . vuole sfruttare il Turkmenistan per soddisfare buona parte della sua enorme sete d’energia.
A sud invece il Pakistan e l’India hanno in cantiere un altro oleodotto, il TAPI, che legherebbe in modo più stretto le loro economie e forse bilancerebbe meglio l’asse centrasiatico rispetto al suo attuale orientamento che oscilla quasi esclusivamente tra Russia e Cina. L’unica incognita a questa via è il quarto partner dell’accordo, l’Afghanistan. Se Kabul non dovesse sopravvivere alla fine del protettorato americano non solo la realizzazione del TAPI ne uscirebbe compromessa, ma lo stesso Turkmenistan, con cui non sono mancati incidenti di frontiera, rischierebbe di essere destabilizzato dalla crisi del suo vicino.