Quando tre anni fa nella capitale del Burkina Faso Ouagadougou esplose la protesta contro l’autoritario presidente Blaise Campaoré – in carica dal lontano 1987 dopo aver assassinato il suo predecessore Thomas Sankara – ci fu chi disse che anche in quell’angolo remoto dell’Africa occidentale fosse sbocciata una “primavera burkinabé”.
La fuga di Campaoré dalla capitale e i numerosi ammutinamenti dell’esercito, la fazione principale che lo sostiene, lasciavano presagire che presto la democrazia avrebbe trionfato anche in questo paese. Pochi si aspettavano che il presidente si sarebbe dimesso invece solo tre anni dopo, mettendo così fine all’ordine costituito che rappresentava. O forse no.
A persuadere il longevo presidente a farsi da parte sarebbe stato il suo maldestro tentativo di estendere il proprio mandato presidenziale per via costituzionale. Ciò ha infatti scatenato la furia della gente che ha preso d’assalto il Parlamento, a cui Campaoré ha reagito imponendo lo stato di emergenza prima di essere destituito dal capo di Stato maggiore Nabèrè Honorè Traorè.
Lo stesso Traorè verrà poco dopo scavalcato dall’ex vice della guardia presidenziale Isaac Zida, che assume a sua volta le funzioni di capo di Stato ad interim e fa occupare la televisione di Stato per impedire ai politici dell’opposizione di approfittare del momento di caos per riempire il vuoto improvviso lasciato da quasi trent’anni di governo militarista.
Il tentativo dei generali di riappropriarsi del potere al momento sembra essere riuscito, svuotando di senso la rivolta che vorrebbe andare fino in fondo, ma teme una reazione violenta da parte di chi non vuole mollare la presa. Mentre l’Occidente sembra non volersi preoccupare più di tanto della crisi burkinabé (la Francia avrebbe persino aiutato Campaoré a riparare in Costa d’Avorio), gli altri stati africani non vogliono far finta di nulla.
Dall’Unione Africana, in particolare dalla Nigeria e dal Senegal, è giunto infatti l’avvertimento di favorire una transizione civile entro due settimane se il Burkina Faso non vuole incorrere in sanzioni da parte dei vicini. Se i partiti politici hanno accolto la richiesta fissando le prossime elezioni nel novembre 2015 non è ancora chiaro se il colonnello Zida e i suoi seguaci si adegueranno o forti dell’indifferenza delle grandi potenze continueranno indisturbati a mantenere l’ordine più utile ai loro interessi.