Tunisia – Al largo i giovani

BejiIn un Levante preda dell’anarchia e del terrore dell’IS il normale svolgimento di elezioni democratiche si profila come un’oasi che sopravvive in un deserto di sabbie mobili. Questa è l’impressione che si può avere raccogliendo i vari commenti occidentali sulle legislative in Tunisia, considerata l’unico successo di una stagione altrimenti devastante per il resto della regione.

Superando di oltre dieci seggi il partito che ha governato il paese negli ultimi tre anni, gli islamisti di Ennhada, i laici di Nidaa Tounes si aggiudicano questo round politico sperando di bissare portando alla presidenza il loro leader ultraottantenne Béji Caid Essebsi (nella foto). L’alternanza suggerirebbe una maturazione politica invidiabile a vicini come la Libia e l’Egitto, dove le istituzioni vengono cambiate con la forza delle armi invece che di quella delle urne.

Un conto è riconoscere che il voto si sia svolto in un clima regolare, ben altra cosa sostenere che da oggi i tunisini navighino ormai in acque sicure. Per prima cosa il risultato elettorale non garantisce a nessuna delle forze politiche un numero di seggi sufficiente per governare da soli, aprendo la strada a varie soluzioni che possono essere un esecutivo di unità nazionale tra laici e islamisti o una coalizione di uno dei due assieme ad uno dei partiti minori.

Un’altra considerazione da fare riguarda invece il supposto rinnovamento che caratterizza entrambi i maggiori contendenti. Gli stessi laici di Nidaa Tounes che hanno puntato molto a distinguersi dall’immobilismo dei rivali islamisti annoverano tra le loro file di alcuni seguaci del decaduto Ben Alì, compresi dei suoi ex ministri, un trasformismo che non è passato del tutto inosservato tanto da far coniare ad alcuni lo slogan irriverente “Avanti con il vecchio”.

Ennahda al contrario porta con sé molte ombre dovute ai suoi legami ambigui con il mondo degli estremisti salafiti, protagonisti di spiacevoli episodi come la persecuzione della femminista Amina Tyler o il controverso omicidio nel febbraio 2013 dell’avvocato attivista Chokri Belaid. I critici di Ennahda accusano spesso il partito di essere andato troppo leggero nel contrastare le violenze perpetrare dai salafiti o addirittura di averle favorite per i suoi fini politici.

Questo clima di reciproco sospetto non farà certo bene allo sviluppo di un dialogo costruttivo tra le parti, approfondendo la delusione di chi sperava nell’avvento di una Tunisia più giusta e trasparente rispetto al ventennio benalista. Un dato su tutti corrobora questa sensazione, la scarsa partecipazione al voto dei principali protagonisti della rivoluzione, ossia i giovani.

Con un’economia che arranca e la disoccupazione che perseguita soprattutto chi vive fuori dalla capitale non stupisce che molti ragazzi invece di unirsi al processo politico si lanci nell’avventura jihadista dell’IS, al punto che la Tunisia è uno dei bacini più ricchi da cui il califfato attinge per il suo reclutamento internazionale. Un dato amaro e molto preoccupante che bisogna considerare molto più di quella che è stata senza dubbio una buona prova di democrazia nel mondo arabo, ma non ancora (purtroppo) la panacea dei suoi mali.

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