“Questo è stato il nostro ultimo saluto all’Unione Sovietica”. Nelle parole usate dal presidente ucraino Petro Poroshenko in Canada per riferirsi all’appena firmato Trattato di Associazione con l’Unione Europea si legge forse la volontà di addolcire l’esito del duro confronto con la Russia per il controllo delle regioni orientali.
Dopo mesi di feroce lotta e migliaia di morti il governo di Kiev e i guerriglieri filorussi hanno infatti siglato un cessate il fuoco, seguito pochi giorni fa da una legge per la regione del Donbas che gli garantisce maggiore autonomia. Eppure da entrambe le parti non c’è piena soddisfazione sulle condizioni, specialmente tra i deputati ucraini, che accusano la legge di essere una sorta di “capitolazione” verso Mosca.
La nuova legge, oltre a ripristinare l’uso del russo come lingua ufficiale e a concedere l’amnistia ai ribelli, prevede una serie di poteri autonomi come la possibilità di avere un proprio governo, tribunali, forze di polizia e addirittura, forse l’elemento più controverso, a gestire le loro relazioni con la Russia.
A prima vista molte di queste misure sembrano essere la soluzione più logica per conciliare la volontà di Kiev di mantenere l’unità nazionale con la decentralizzazione chiesta dall’est russofono, evitando così la sua eventuale secessione e successiva riunificazione con la Russia, com’è già accaduto a marzo con la Crimea. Per rafforzare la bontà di questa scelta c’è chi paragona la legge agli Statuti autonomisti di Scozia o Catalogna, un riferimento non proprio incoraggiante visti i prossimi appuntamenti elettorali che interesseranno queste regioni.
In effetti le premesse negative che accompagnano quest’accordo non mancano e non solo tra le file del Parlamento ucraino, in particolare la destra di Svoboda, la quale promuovendo delle leggi dichiaratamente antirusse all’indomani della caduta di Yanukovich ha in parte contribuito ad esacerbare gli animi tra le due etnie del paese. Anche i ribelli di Donetsk ci tengono infatti a mettere da subito le cose in chiaro, sostenendo inaccettabile che il documento insista “sulla nostra permanenza nel territorio ucraino”. Che la tensione sia ancora alta lo prova il fatto che a dispetto della tregua non si fermano gli attacchi tra le due parti. A Donetsk per esempio in questi giorni sarebbero morte almeno una dozzina di persone a causa dei bombardamenti.
La Russia da parte sua brinda alle ultime mosse ucraine, potendo vantare un risultato positivo per i filorussi e conseguentemente al suo prestigio personale. Inoltre l’equilibrio raggiunto non esclude che in futuro queste province finiscano per seguire lo stesso destino della Crimea, soprattutto se le pulsioni secessioniste – non solo dei filorussi – dovessero godere di nuovo slancio in caso di vittoria degli indipendentisti scozzesi e catalani.
Probabilmente anche queste preoccupazioni hanno accompagnato Poroshenko nel suo viaggio dall’altra parte dell’oceano. Dopo la visita in Canada, oggi sarà la volta degli Stati Uniti, dove s’incontrerà con Obama (con cui si è già visto nel recente summit NATO) e poi al Congresso nella speranza di rafforzare il legame economico e militare con l’Occidente. La partita a scacchi del Donbas continua.