Nei cinquantaquattro anni che vanno dalla sua indipendenza la Repubblica Centrafricana detiene un triste record: quello delle missioni internazionali di pace. Ce ne sono state circa una dozzina, ma non sono bastate per stabilizzare questo paese che dal colpo di stato dei guerriglieri musulmani Seleka di un anno e mezzo fa versa in una gravissima crisi politica e soprattutto umanitaria.
Dopo l’operazione francese Sangaris e quella africana MISCA è arrivato il turno delle Nazioni Unite – intervenuta già due volte da queste parti negli ultimi vent’anni – che da ieri hanno preso il comando con quasi 8.000 uomini nell’ambito della missione MINUSCA. Riuscirà il Palazzo di vetro a riesumare uno stato che è stato quasi del tutto eclissato dalla ferocia delle violenze interconfessionali?
Finora il dispiegamento delle truppe europee ed africane è riuscito solo a contenere la situazione, che rimane comunque molto critica. Secondo gli ultimi dati circa un quarto della popolazione sarebbe stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni, andando a rifugiarsi in campi profughi dentro e fuori il paese. Non accennano a fermarsi neppure le uccisioni tra i miliziani musulmani Seleka e i cristiani, che solo quest’anno ammonterebbero ad almeno 5.000 morti. Gli scontri si traducono talvolta in vere e proprie stragi e conseguenti rappresaglie dall’una e dall’altra parte, persino ad un passo dalle forze di pace, com’è accaduto quest’estate nella città meridionale di Bambari, dove una trentina di persone sono state trucidate nel campo profughi di una parrocchia non lontano dalla sede dei militari stranieri.
I più consapevoli della difficoltà del compito che l’ONU avrà di fronte sono le ONG come Human Rights Watch e Amnesty International. Quest’ultima in particolare ha auspicato che il cambio della guardia tra le truppe dell’Unione Africana e quelle delle Nazioni Unite non si limiti ad essere un mero “ritocco estetico”, riferendosi al diverso colore dei rispettivi elmetti: verde e blu.
Assieme ai soldati dell’ONU arriveranno anche truppe di altri paesi come il Bangladesh e il Pakistan, nella speranza che si riesca a garantire abbastanza sicurezza per ripristinare un minimo di autorità statale. Le attuali divisioni interconfessionali hanno diviso la Repubblica Centrafricana in un nord musulmano e in un sud cristiano che alla lunga rischiano di complicare la riconciliazione nazionale, se non addirittura disintegrare il paese. Per scoprire se MINUSCA sarà una svolta o seguirà il triste destino delle missioni che l’hanno preceduta non resta che attendere gli sviluppi dei prossimi mesi.