Egitto – Il regno incontrastato dei militari

20140623-172540-62740817.jpgLa settimana prossima sarà passato un anno dalla caduta del presidente egiziano Mohamed Morsi. All’indomani di quel traumatico evento nel paese scattò immediatamente la caccia ai seguaci dei Fratelli Musulmani. Oltre ai militanti veri e propri vennero colpiti anche i giornalisti appartenenti alla rete televisiva Al Jazeera, con sede in Qatar, che è stato peraltro il principale sponsor del partito di Morsi.
Tra le decine di episodi di violenza e arresti che hanno coinvolto gli operatori di Al Jazeera, il più eclatante è stato quello che ha visto come protagonisti il giornalista di origine australiana Peter Greste e i suoi due colleghi egiziani Mohamed Fahmy e Baher Mohamed. I tre sono stati arrestati al Cairo nel dicembre 2013 e sono rimasti nella prigione di Tora della capitale aspettando per oltre sei mesi un verdetto che è arrivato solamente oggi.

Alla fine Greste e Fahmy sono stati condannati a sette anni di prigione per aver “diffuso false notizie e aver sostenuto un gruppo fuorilegge (i Fratelli Musulmani)”. Stessa sorte è toccata a Mohamed, che si è visto anche alzare la pena a dieci anni per l’aggravante di detenzione illegale di armi.
Per i media internazionali la sentenza è solo l’ennesimo capitolo della resa dei conti tra il governo guidato dai militari e i Fratelli Musulmani. Una guerra che nell’arco di un anno ha causato centinaia di morti nelle strade e potrebbe fare altrettanto nelle aule giudiziarie, dove nel solo mese di aprile sono state emesse quasi 700 condanne a morte per atti di terrorismo, sebbene la maggior parte degli imputati sia ancora a piede libero.
Nonostante ai condannati a morte e ai giornalisti di Al Jazeera resti ancora la speranza di ricorrere in appello, il clima che si respira in Egitto non sembra essere dei più favorevoli per lo stato di diritto. I militari sembrano intenzionati a far piazza pulita di quello che è stato forse il rivale più pericoloso alla loro lunga egemonia sul paese, la quale è stata appena riconfermata dall’elezione alla presidenza della Repubblica di un loro esponente, il generale Abdul Fattah al-Sisi.
A complicare il quadro si aggiunge un contesto regionale che potrebbe degenerare in modo grave, specialmente se l’Iraq dovesse soccombere ai colpi dei jihadisti dell’ISIS, il che non è affatto da escludere (300 consiglieri americani potranno fare ben poco contro i mitra del califfato). Ciò molto probabilmente spingerà le maggiori potenze a mettere da parte le questioni di carattere etico per riconquistare gli alleati di un tempo, Egitto in testa.
Nel caso ci fosse bisogno di una prova in questo senso, proprio ieri il Segretario di Stato americano John Kerry è arrivato in visita in Egitto, dove ha annunciato lo sblocco di un pacchetto di 575 milioni di dollari in aiuti militari, che erano rimasti bloccati dalla caduta di Morsi. Il ritorno dei finanziamenti a stelle e strisce rappresenta il tentativo dell’America di recuperare un partner che per caratteristiche demografiche e militari, nonché per la difficile contingenza, bisogna assolutamente tenere in considerazione se si vuole continuare ad avere una qualche influenza nell’area.
Questo accomodamento da parte occidentale susciterà sicuramente la delusione di chi crede nella causa democratica del mondo arabo. In realtà viene anche il dubbio se gli Stati Uniti potranno recuperare in Egitto la considerazione di un tempo. Attori più vicini come la Russia o l’Arabia Saudita hanno approfittato della temporanea assenza dell’America per cercare di riempire il vuoto lasciato non solo in Egitto, ma in tutto il Medio Oriente per via del cosiddetto ‘disengagement’.
Spesso le lotte politiche finiscono per seminare conflitti di più ampia portata, nei quali l’attenzione passa dal prendere di mira il potere politico al disfattista/terrorista che non segue il nuovo corso, fino al caso più grave dello straniero che trama con questi ultimi. La storia è piena di questi esempi e da come si stanno mettendo le cose ha buone probabilità che ciò si ripeta anche nell’attuale Medio Oriente.

Foto Reuters

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