Iraq – Il collasso tra il Tigri e l’Eufrate

20140613-183003-66603774.jpgAppena due anni dopo la fine della missione americana e poco più di un mese dalle elezioni parlamentari, l’Iraq sembra essere sul punto di scomparire dalla cartina geografica e lasciare il posto ad almeno tre nuovi soggetti. In pochi giorni le milizie islamiste dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno realizzato una serie di successi militari tra il Nord e l’Ovest del paese che rischiano di far saltare il governo centrale e con esso l’integrità territoriale dello stato.
Le cause che hanno portato a questo disastro ovviamente non arrivano come un fulmine a ciel sereno, ma sono il frutto di divisioni interne di lungo corso che l’incerto contesto geopolitico di questi ultimi anni ha esasperato fino a livelli ormai intollerabili. E dire che di segnali importanti sulla tempesta che si stava approssimando ce ne sono stati. Peccato che la comunità internazionale fosse distratta altrove o magari credeva che la riconferma del premier al-Maliki potesse servire da bacchetta magica per i problemi che nel frattempo si accumulavano indisturbati.

Le milizie dell’ISIS hanno origine proprio dall’Iraq, dove all’indomani dell’occupazione americana combattono contro le truppe occidentali e il governo provvisorio per instaurare un califfato nelle regioni dell’ovest a maggioranza sunnita. Nel suo primo periodo, che va all’incirca dal 2004 al 2010 l’attività principale dell’ISIS sono prevalentemente gli attentati dinamitardi contro gli sciiti, anche perché non appena tentano di occupare delle località per imporre la loro idea di legge gli americani, decisamente più forti di loro, arrivano prontamente per disperderli.
Il gruppo trova una seconda giovinezza con la guerra civile siriana, nella quale fanno propria la lotta contro il presidente Assad e approfittando dell’anarchia diffusa riescono a consolidare le proprie posizioni. Nonostante fossero giunti in un secondo momento, gli islamisti finiscono per acquistare il sopravvento nei confronti degli ‘alleati’ laici, tanto che adesso lo scontro principale in Siria sembra essere tra l’ISIS, che occupa saldamente un terzo del paese, e il regime di Damasco.
In conseguenza dei successi oltre confine l’ISIS ha esteso la sua sfera d’azione dall’Iraq alla Siria, progettando la creazione di un grande stato levantino che vada dal Golfo Persico al Mediterraneo. Per dare corpo al nuovo progetto già all’inizio di quest’anno i suoi combattenti hanno lanciato una prima offensiva nell’Iraq occidentale, arrivando a conquistare la città di Falluja che da quel momento è rimasta sempre sotto il loro controllo.
Per diversi mesi la situazione si è apparentemente stabilizzata, o meglio congelata, visto che il governo di Baghdad ha fallito miseramente nel riprendere possesso delle zone occupate dall’ISIS. Ad aggiungere un tocco di paradossale a tutta questa vicenda il fatto che i media sembravano essersi praticamente dimenticati di questa situazione, concentrandosi sulle elezioni parlamentari di aprile come se l’Iraq avesse potuto ritrovare la normalità perduta dopo il voto.
I fatti di questa settimana hanno però aperto violentemente gli occhi a tutti sulla triste situazione. In soli tre giorni i miliziani dell’ISIS hanno conquistato numerose altre città, tra cui Mosul e Tikrit, città natale dell’ex rais Saddam Hussein, costringendo alla fuga centinaia di migliaia di persone.
Adesso l’ISIS si prepara a marciare contro la stessa Baghdad, da cui dista ormai solo alcune decine di chilometri, avendo dalla sua la simpatia di quei sunniti e dei nostalgici di Saddam che osteggiano il governo di Nuri al-Maliki, perché temono che egli a lungo andare finisca per dare agli sciiti il dominio assoluto del paese. Come terzo incomodo ci sono anche i curdi che governano autonomamente le province settentrionali ricche di petrolio, i quali vista la catastrofe imminente potrebbero essere tentati di allentare in modo ancora più forte i legami con la capitale, se non di tagliarli direttamente.
Di fronte al disordine crescente la comunità internazionale assiste sbigottita o balbetta soluzioni di dubbia utilità. Gli Stati Uniti si dicono pronti a qualsiasi opzione, salvo quella dell’intervento militare di terra, l’unico che forse potrebbe dare qualche frutto duraturo ma che Obama naturalmente non è disposto a dare, a meno di non voler abiurare dal suo primo mandato che è stato all’insegna del disimpegno.
A mobilitarsi veramente, non l’Europa che come al solito risulta assente, è soprattutto l’Iran, il quale avrebbe mandato già alcune unità scelte a sostegno del governo iracheno e, stando ad alcune voci di corridoio, sarebbe persino disposto a collaborare con l’America per arginare la minaccia dell’ISIS, nemico anche dell’alleato siriano. Nel clima di attuale distensione tra i due paesi non è da escludere che possano trovare un punto d’incontro proprio su questo tema, suscitando lo scontento di vecchi amici.
Uno di questi si trova proprio sull’altro lato della barricata, ossia l’Arabia Saudita. Preoccupata del ritorno dell’Iran nelle dinamiche internazionali, Riyad sarebbe sospettata da alcuni di voler destabilizzare sia l’Iraq che la Siria per ridimensionare l’influenza di Teheran in quelle regioni. A rafforzare più che confermare questa tesi ci sarebbero i legami finanziari e politici che il regno saudita ha sempre avuto con i gruppi terroristici sunniti come l’ISIS, il quale non sarebbe nient’altro che la sua pedina per rovesciare il rivale Assad.
Anche il successivo contagio all’Iraq sarebbe in funzione di questo piano? Oppure è il segnale di un fenomeno che come accade spesso in questi casi è divenuto ormai incontrollato? Di sicuro l’Iraq come la Siria è caduto vittima di una competizione più grande, che in assenza di un ordine internazionale in grado di controllarne le dinamiche trova una sua logica soltanto in un caos tattico, dove gli attori esterni si soppesano al prezzo di migliaia di vite e una distruzione indiscriminata. Arrivati a questo punto tavolo per la Siria sta diventando, come se già non lo fosse, un tavolo per tutto il Medio Oriente. O si trova il coraggio per mettersi a discutere seriamente o il mostro finirà per crescere a sufficienza per inghiottire qualcun altro.

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