Di’ tutta la verità ma dilla obliqua –
il successo è nel cerchio –
sarebbe troppa luce per la nostra
debole gioia
la superba sorpresa del vero –
Come il lampo è accettato dal bambino
se con dolci parole lo si attenua –
così la verità può gradualmente
illuminare – altrimenti ci accieca.
Emily Dickinson, poesia n.1129
Quando si pensa a concetti come la tolleranza o il dialogo spesso non si ha ben chiaro di quante siano le difficoltà su come metterli effettivamente in pratica. Nonostante la lunga tradizione nel mondo occidentale sull’argomento, le nostre società hanno a che fare con una mole d’informazioni così veloce e massiccia che risulta quasi impossibile evitare incomprensioni e attriti.
In un luogo apparentemente remoto, almeno per i media, esiste però un contesto dove la sovrapposizione degli influssi culturali non sembra aver generato i problemi che avvengono quasi ovunque. Si tratta dell’Azerbaijan, tema principale dell’incontro di oggi ‘L’Azerbaijan e le religioni che lo hanno attraversato’, che si è tenuto a Roma nella Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, a cura del think tank Il Nodo di Gordio, del Centro Studi Vox Populi, del Centro Studi Politici Criticalia e dell’Associazione interparlamentare di amicizia Italia-Azerbaijan.
Alcuni dei presenti hanno definito l’Azerbaijan un modello che potrebbe aiutare a risolvere le tensioni che caratterizzano le società multiculturali di oggi. Perché questa convinzione? Innanzitutto perché, come spiega l’ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaijan Vaqif Sadiqov, nonostante la maggioranza schiacciante dei musulmani nel paese (circa il 95%) le istituzioni hanno dei principi saldamente laici. Ciò è sancito in particolare dalla Costituzione dagli art. 18, che definisce la separazione tra Stato e religione e 48 sulla libertà di coscienza, e viene ribadito pure dai numerosi incontri che Baku promuove a livello internazionale per occuparsi di dialogo interculturale.
Ma a dare veramente forza a questa tolleranza è la storia dell’Azerbaijan, terra di confine tra il mondo occidentale e quello orientale fin dall’antichità, quando si trovava a cavallo tra la sfera d’influenza romana e quella partica, sino ad oggi con il ruolo di crocevia tra mondo russo, europeo, turco ed iraniano. Questo continuò rapportarsi con dei vicini solitamente in conflitto ha messo l’area a contatto con gli influssi più diversi, lasciando delle tracce a volte irripetibili come la Chiesa Apostolica Albana, una delle prime comunità cristiane attiva soprattutto nel primo millennio d.C. e al quale è stato dedicato un libro presentato in questo stesso giorno (La Chiesa Apostolica Albana. Le radici di un simbolo dell’Azerbaijan, edito dal Nodo di Gordio e Vox Populi).
L’elemento determinante di questa convivenza è stato che nessuna di queste culture cercasse di imporre la propria volontà sulle altre. Il rapporto tra il tentativo di omologare gli altri ad un solo credo e la violenza interconfessionale è infatti un punto su cui la maggior parte dei relatori sembra trovarsi d’accordo. Uno di loro è ad esempio il professore Andrea Marcigliano, studioso de Il Nodo di Gordio, che nel suo intervento ha evocato anche un affascinante accostamento tra i confini dell’Europa e dei viaggi di Eracle tra le omonime Colonne (Gibilterra) e il Caucaso, prigione del mitico Prometeo, il titano che venne punito dagli dei per aver donato il fuoco agli uomini.
Della stessa opinione sono anche gli ospiti delle varie confessioni religiose, a cominciare dal presidente del Consiglio ISESCO per i musulmani in Occidente Yahya Pallavicini, secondo il quale per riplasmare la natura dei rapporti umani c’è bisogno prima di accantonare definitivamente il fanatismo o l’idealismo che hanno condizionato a lungo relazioni internazionali.
Il problema tuttavia secondo il teologo di origine argentina Diego Flores non è solo la religione o la politica, quanto l’ambizione sfrenata dell’uomo che si declina nella conquista del potere o nel progresso scientifico senza limiti. Ciò indurrebbe l’essere umano ad avanzare a passi così lunghi da lasciarlo infine smarrito e incapace di rapportarsi alla nuova realtà che si è costruito, reagendo inevitabilmente con la violenza. Un percorso di tipo spaziale che Flores accosta a quello della Genesi, quando Adamo ed Eva dopo aver mangiato il frutto della conoscenza reagiscono inizialmente spaventati della consapevolezza conquistata, mentre i loro figli nell’incertezza che seguirà la cacciata dal Paradiso finiranno per compiere la prima violenza fratricida della storia.
Per arginare i rischi di un’umanità declinata solo nello spazio sarebbe necessario recuperare una dimensione temporale che non sia parcellizzata per meglio servire questa volontà di potenza. Solo recuperando la pienezza del tempo possiamo cercare di riflettere su noi stessi e i nostri obiettivi, trovando anche un modo più efficace di relazionarci con quanto ci circonda. La cultura ebraica, rappresentata all’evento dal celebre attore Moni Ovadia e da Victor Magiar dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, a questo riguardo prevede un costume specifico, il tempo sabbatico, dove l’uomo rinuncia a qualsiasi attività produttiva e si dedica a sé e ai suoi cari. Ciò permetterebbe di riavvicinarci al nostro lato più umano, ad un sentire che è in fondo la radice comune a tutti gli esseri umani e che può essere il vero punto di partenza per la comprensione e il rispetto reciproco.
Questa importanza dell’emozione profonda è lo spunto dal quale parte anche l’antropologo Alessandro Bertirotti (che ha citato la poesia con la quale ho aperto quest’articolo) per raccontare una storia dell’umanità devastata dalla coscienza e dalla sua ossessione di dare un senso alle cose. Per Bertirotti sebbene l’uomo tenda ad essere legato più dalle emozioni senza significato (come la musica o l’amore), è comunque una vittima costante delle parole, una caratteristica evolutiva molto più recente delle altre che secondo Bertirotti avrebbe sviluppato in noi un pensiero più egoistico, a sua volta fonte d’incomprensione e conflitto.
Il recupero della dimensione umana e con essa della capacità di relazionarsi con gli altri prima come persone che come appartenenti a fedi o idee diverse sembra essere dunque il percorso obbligato per maturare una convivenza che non sia fatta soltanto di parole vuote che, riprendendo ancora Bertirotti, alla fine dimentichiamo più facilmente della vera sostanza delle emozioni.
Dato il gran numero di ospiti, qui di seguito un elenco dettagliato dei partecipanti all’evento:
Benvenuto
Sergio Divina – Presidente Ass. Amicizia Italia-Azerbaijan
Vasif Sadiqov – Ambasciatore dell’Azerbaijan
Daniele Lazzeri – Chairman Nodo di Gordio
Dialogo interreligiosa e interculturale in Azerbaijan
Diego Flores – Teologo
Yahya Pallavicini – Presidente a consiglio ISESCO per i musulmani in Occidente
Aleksiy Nikonorov – Chiesa ortodossa Roma
Alessandro Bertirotti – Antropologo della mente
Michele Bernardini – Docente di storia
Victor Magiar – Unione delle comunità ebraiche
Moni Ovadia – Attore
Angelo Iacovella – Docente di Lingua
Andrea Marcigliano – Senior fellow Nodo di Gordio
Giovanni Bensi – Giornalista
Presentazione libro
Paolo Zammatteo – Architetto
Ermanno Visintaier – Presidente Vox Populi
Angelo Mecca – Saggista e specialista letteratura greco-bizantina
Guido Lenzi – Direttore istituto europeo di studi di sicurezza a Parigi
Giulio Prigioni – ex Ambasciatore Straordinario in Bielorussia e Lituania
Modera
Giorgio Stamatopoulos – Giornalista Radio città futura