Thailandia – Colpo di Casta

Thailandia - Colpo di Casta1951, 1957, 1958, 1971, 1976, 1977, 1991, 2006 e ora anche il 2014. Sono le date dei nove colpi di Stato (quelli riusciti) che hanno accompagnato il lunghissimo regno di Rama IX, al secolo Bhumibol Adulyadej, sovrano della Thailandia e unica figura politica ad essere uscita sempre indenne dalle continue turbolenze politiche del suo paese.
Ancora una volta l’anziano re pare essere al sicuro dal nuovo golpe militare che ha travolto il paese del sudest asiatico da alcuni giorni, chiudendo una fase di gravissimo disordine iniziata alla fine dell’anno scorso con il braccio di ferro tra l’ex premier Yingluck Shinawatra e i manifestanti guidati da Suthep Thaugsuban e altri leader dell’opposizione. L’unica differenza con il passato è che i generali thailandesi questa volta potrebbero dover fare i conti con dei rivali politici molto più agguerriti del previsto.

La situazione è degenerata alcune settimane fa, dopo che la premier Shinawatra, sorella dell’ex premier Thaksin rovesciato nel golpe del 2006, è stata destituita da un tribunale con l’accusa di abuso di potere. Da allora lo scontro tra sostenitori della Shinawatra, conosciuti anche come ‘camice rosse’, e i suoi oppositori si è infiammato a tal punto che l’esercito si è sentito in dovere d’intervenire. E lo ha fatto imponendo prima la legge marziale per tre giorni, quindi facendo direttamente il gran passo prendendo direttamente controllo del governo.
Cercando di non far passare la loro azione come golpe, ma vista la loro frequenza forse i thailandesi si sono ormai abituati a considerare eventi del genere una sorta di rimpasto di governo, il generale Prayuth Chan-ocha è apparso in tv ad annunciare al popolo la volontà di “ripristinare l’ordine e promuovere il raggiungimento di riforme politiche”. E per rendere più semplice il dialogo tra i vari partiti i militari ne hanno arrestato praticamente tutti i principali esponenti: l’ex premier Shinawatra (stando alle ultime notizie si troverebbe n una caserma fuori Bangkok) e il premier ad interim Niwattumrong Boonsongpaisan, entrambi del partito di maggioranza Pheu Thai, e i capi dell’opposizione come Suthep Thaugsuban e quello del partito Democratico Abhisit Vejjajiva. A chi è stato graziato dalle manette invece gli è stato caldamente suggerito di non lasciare il paese.
Difficile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, soprattutto per le elezioni generali che sono state fissare alla fine di luglio. Questo voto quello che la Corte Costituzionale ha invalidato quelle dello scorso febbraio per presunte irregolarità. Proprio l’ex premier Shinawatra aveva confidato molto in questo voto, sicura dell’aperto sostegno delle campagne che gli avrebbe dato nuova legittimità. La rivolta contro di lei infatti era esplosa nelle città, in particolare a Bangkok, dove i cortei di protesta erano arrivati a paralizzare la capitale e ad occupare vari edifici governativi senza che l’esercito alzasse un dito o quasi.
La compiacenza delle truppe, che adesso sembrano volersi allontanare dei manifestanti una volta consumato il golpe, aveva sollevato più di qualche sospetto che la rivolta fosse strumentalizzata dalla potente casta legata alla famiglia reale, i cosiddetti ‘ammat’.
Gli ultimi anni in Thailandia sarebbero stati infatti caratterizzati da una sfida di potere tra il clan degli Shinawatra e gli ammat, con i primi intenzionati a portare avanti una serie di riforme politiche per ridimensionare l’influenza della vecchia élite al Senato. Che questa fosse una sincera volontà di rendere il paese più democratico o per consolidare la propria fazione a danno di un altra non importa, perché come si è visto i processi e colpi militari di questi mesi hanno letteralmente spazzato via la forza politica degli Shinawatra. O quasi.
A seguito dell’instaurazione del golpe militare si sta profilando all’orizzonte una minaccia molto seria, ossia l’esplosione di una vera e propria guerra civile. I molti seguaci della Shinawatra hanno promesso di farla pagare all’esercito e già si parla di attacchi contro i soldati o i rivali politici in varie zone del paese. Per ora tra la comunità internazionale prevale il panico, come succede in Giappone, Singapore o Malesia che temono per i loro forti investimenti o una cauta preoccupazione, specialmente in Cina e negli Stati Uniti, i quali hanno detto di voler ‘riconsiderare’ la collaborazione militare con Bangkok.
L’unico ad abbozzare una qualche iniziativa sembra essere l’Indonesia, fondatore assieme alla Thailandia dell’Associazione delle Nazioni del sudest asiatico (ASEAN), che comprende dieci paesi dell’area. Il governo di Giacarta dice di stare valutando una qualche forma d’intervento per garantire l’adesione dei membri dell’ASEAN ai ‘principi democratici e al governo costituzionale’. Se queste parole dovessero tradursi in qualche azione concreta ciò sarebbe sicuramente un gran colpo per il ruolo geopolitico dell’Indonesia, che ha già strappato il primato di economia più ricca del sudest asiatico.

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