Tre mesi dopo un golpe che era apparso a molti come una mezza pagliacciata, il generale libico Khalifa Haftar è tornato in azione per “salvare il suo paese” dalla minaccia degli islamisti. Questa volta invece di limitarsi a fare un annuncio con un video, Haftar – un ex generale di Gheddafi abbandonato dal colonnello durante la guerra con il Ciad negli anni ottanta – ha deciso di fare le cose davvero in grande. Venerdì scorso i suoi seguaci hanno lanciato infatti una vera e propria offensiva militare a Bengasi, dove hanno seminato panico e distruzione con ogni tipo di mezzi, compresi i bombardamenti aerei.
L’entità di un assalto del genere conferma ancora una volta le difficoltà di uno Stato che a tre anni dalla caduta di Gheddafi ha ceduto il posto ad una brutale lotta per la sopravvivenza, esattamente come succede in Siria, ma con l’aggravante che qui il governo è assolutamente incapace di organizzarsi come l’efficiente (quanto spietato) apparato repressivo del clan Assad.
Dopo la carneficina di Bengasi, dove sono morte più di 80 persone, anche Tripoli ha assistito a scene di guerra con l’ingresso nelle strade della capitale di mezzi corazzati e pick up carichi di uomini armati fino ai denti. Le intenzioni di questi miliziani, presumibilmente legati al gruppo di Zintan, è chiaro fin da subito: rovesciare il governo del debole Consiglio nazionale generale, che ha appena nominato il suo terzo primo ministro dall’inizio dell’anno, Ahmed Miitig. Un politico che i suoi detrattori (Zintan e Haftar hanno una posizione ideologica molto simile) ritengono essere appoggiato proprio dalle forze islamiste che minacciano la Libia.
Le truppe ribelli hanno allora scatenato nei pressi del Parlamento una furiosa battaglia, in cui hanno perso la vita due persone e sono stati fatti prigionieri decine di funzionari governativi, che sono fuggiti in massa dai palazzi sotto assedio. Nonostante il governo abbia cercato di rassicurare l’opinione pubblica sul fatto che avesse ancora la situazione sotto controllo, la chiusura di molte ambasciate come quella algerina o quella dell’Arabia Saudita avvenuta poche ore fa, indicano un quadro molto diverso.
Sempre oggi si rincorrono voci di un presunto ordine dell’esercito di mobilitare alcune milizie islamiste contro i soldati ribelli. Una mossa che se confermata non solo avvicinerebbe il paese verso una nuova guerra civile, ma finirebbe col rafforzare il problema più importante della Libia: le milizie. Una volta esaurita la causa comune contro l’ex rais questi gruppi hanno dettato legge senza incontrare nessuna resistenza da parte del governo centrale, col risultato di spezzettare lo stato in tante piccole zone d’influenza a carattere più o meno criminale.
Lo scoppio di una seconda guerra innescherebbe una nuova corsa agli armamenti delle milizie, con effetti devastanti per un popolo che non si è ancora ripreso dalla fine dell’era Gheddafi. Uno scenario di questo tipo inoltre moltiplicherebbe i rischi di destabilizzazione anche nei vicini (Mali docet), i quali continuano a subire gli effetti del conflitto precedente e sicuramente non reggerebbero un altro contraccolpo.