“Fatta la Costituzione, ora bisogna applicarla”. Questa parafrasi della celebre frase di Massimo d’Azeglio sugli italiani citata dall’ex ambasciatore d’Italia in Tunisia, Pietro Benassi, descrive molto bene la situazione del processo costituente in Tunisia, paese che rispetto ai contesti più problematici dell’area sembra aver imboccato una transizione più stabile dalle rivolte del 2010-11.
Può questo apparente successo essere considerato un modello per gli altri paesi arabi? È la domanda principale dell’incontro “La nuova Costituzione in Tunisia: modello per le democratizzazioni arabe” organizzato dall’ISPI e dalla Camera dei Deputati a Palazzo Montecitorio. Ospite d’eccezione la Vicepresidente dell’Assemblea costituente tunisina, Meherzia Labidi.
Il tratto eccezionale di questa Costituzione è stato quello di essere riusciti a trovare un’intesa tra le anime diversissime (laiche, islamiste, liberali o comuniste) che compongono lo spettro politico della nuova Tunisia. Il risultato è stato una Carta che allo stesso tempo mantiene il riferimento all’Islam, ma garantisce la libertà religiosa, la parità tra i sessi, l’accesso all’informazione o la ricerca scientifica indipendente.
A dare una testimonianza della dialettica che ha accompagnato questo processo c’è proprio Meherzia Labidi, le cui parole trasmettono fin da subito la passione e l’emozione che dedica alla sue lotte per i diritti e le sue concittadine. Non è forse casuale che l’abbiano scelta per un ruolo di rilievo nell’Assemblea costituente. Labidi viene infatti da un’associazione come ‘Religioni per la pace’ da sempre impegnata al dialogo interculturale.
Se non ci fosse stata una seria di volontà di questo tipo probabilmente anche in Tunisia si sarebbero replicati gli sviluppi drammatici dell’Egitto o della Libia. Non è stato semplice, racconta Labidi, riferendo di discussioni anche concitate su aspetti come il ruolo delle donne e il riferimento all’Islam, brillantemente superato riprendendo l’Art. 1 della vecchia Costituzione del 1959: “la Tunisia è una repubblica, la religione di stato è l’islam”.
Ma a dare veramente forza al processo costituente non è stato solamente l’accordo tra le varie forze politiche. L’Assemblea, continua Labidi, si è rivolta anche ad audizioni provenienti dall’esterno (UNICEF, associazioni delle donne, giovani, costituzionalisti) per chiarire in modo esaustivo concetti come la cittadinanza, la libertà o la Sharia oppure per trovare il giusto modo di bilanciare i vari poteri dello Stato, allontanando così i rischi di scivolare in nuove dittature. Questo coinvolgimento della società civile – molto più radicata in Tunisia che altrove nella regione secondo Valeria Tablot, senior research fellow dell’ISPI – è un valore che la vicepresidente dell’Assemblea Costituente ci tiene a ribadire in modo particolare in vista dei successivi lavori, i quali dovranno traghettare il paese verso le elezioni di novembre e contro le numerose sfide rimaste da affrontare: disoccupazione e il pericolo terrorismo rappresentato dai salafiti di Ansar al Sharia, con cui il partito di maggioranza islamista Ennahda intrattiene una relazione che non manca di qualche ambiguità.
Applaude al carattere partecipativo della transizione tunisina anche l’ex ambasciatore Benassi, che lo ritiene un modello da seguire anche per gli altri Stati arabi, assieme agli equilibri check and balance sulle istituzioni e alla scelta di rendere un diritto quale la libertà di espressione immune da emendamenti, dunque non modificabile sulla Carta. Le incognite ovviamente interessano quello che seguirà, ovvero l’applicazione concreta di questi principi, in particolare nelle zone più disagiate dove i magistrati locali avranno una forte responsabilità per l’affermazione di questo nuovo stato.
Uno sguardo più approfondito invece sulle donne tunisine lo offre Pia Locatelli, deputata del Partito Socialista Italiano e presidente onoraria dell’Internazionale Socialista donne, recentemente tornata da un viaggio in Yemen in cui ha partecipato ad un processo costituente di quel paese, dove la strada purtroppo è decisamente più in salita. Tornando con la mente alla sua visita in Tunisia durante la campagna elettorale del 2011, la prima dopo la caduta dell’ex dittatore Ben Ali, la Locatelli racconta dell’attivismo delle tunisine e della lotta accanita che la loro causa ha provocato durante i lavori dell’Assemblea, arrivando a spaccare i partiti al loro interno.
Ciononostante i lavori hanno partorito una serie di articoli che allontanano la concezione di ‘complementarietà’ della donna rispetto all’uomo per promuovere la parità tra i sessi nella maggior parte degli ambiti, tranne qualche rara eccezione come i diritti ereditari. Non solo, ma sotto quest’aspetto la Locatelli ritiene che la legge elettorale possa servire d’esempio all’Italia, ad esempio nell’alternanza dei sessi nelle liste, un meccanismo che è stato bocciato nel voto sull’Italicum, suscitando non poche polemiche.
A proposito del nostro paese, c’è da chiedersi in che modo si potrebbe rapportare verso uno dei suoi partner più stretti. Per Arturo Scotto, deputato di Sinistra Ecologia e Libertà e membro della Commissione Affari Esteri e Comunitari, la stabilizzazione della Tunisia fa parte di un obiettivo strategico che interessa tutta la sponda sud del Mediterraneo e l’Italia dovrebbe approfittare dell’imminente semestre (da luglio) di presidenza nel Consiglio dell’Unione Europea per spingere su questo tema.
È quanto sostenuto anche dal vicepresidente della Camera, Sereni, la quale indica dei segnali già promettenti in tal senso, tra cui la scelta del nuovo premier Renzi di fare il suo primo viaggio all’estero in Tunisia e della crescente presenza imprenditoriale, stimata a circa 750 aziende con oltre 60mila dipendenti, che ci rende appunto il secondo partner commerciale di Tunisi dopo la Francia.
Ciò non esclude che ci sia bisogno di un salto di qualità, estendendo la cooperazione ai soliti dossier di sicurezza e immigrazione che hanno contraddistinto l’approccio europeo negli ultimi anni. E serve ancor più mantenere un attenzione costante invece di lasciarsi prendere da fugaci entusiasmi, abbandonando subito dopo la Tunisia ai suoi problemi per ricordarsene soltanto quando questi esplodono in una nuova crisi. Perché l’Africa, come dice con una punta di trasporto il deputato Scotto, è un pezzo della nostra comunità di destino ed accontentarsi di osservare il cambiamento senza esserne attori può essere una scelta spesso controproducente.
(Foto articolo Reuters)