Ucraina – La Tana all’incontro GeopEC ‘Il puzzle ucraino’

20140414-174248.jpgDal feudalesimo agli oligarchi, storia di una trappola perenne per un’Ucraina che entra ormai nel suo sesto mese di crisi. Mentre si susseguono le notizie di episodi di violenza tra il governo di Kiev e i ribelli filorussi delle regioni orientali, oggi a Roma si è tenuto un incontro per discutere delle origini e delle incognite future di un passaggio esacerbato dalla collocazione di questo paese.
L’evento faceva parte del Ciclo di Seminari intitolato ‘Quo vadis Europa? Quo vadis America?’ lanciato dall’Osservatorio geopolitico delle élite contemporanee (GeopEC) e dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi La Sapienza all’ex caserma Sani a via Principe Amedeo. Nella giornata di oggi hanno partecipato la direttrice di GeopEc, Rita Di Leo, il professor Marco Cilento e il dottorando Claudio Foliti, dottorando su una tesi riguardante proprio le élite ucraine e infine il giornalista del Manifesto, Tommaso Di Francesco.

Le origini di questa drammatica contesa secondo la direttrice Di Leo sono molto antiche, quando ai tempi dell’impero zarista i territori dell’Europa orientale erano amministrati da un potere quasi esclusivamente feudale. Esso, facendo ricorso ad una manodopera che si trovava ancora in una condizione di schiavitù (la Russia è stato uno degli ultimi paesi europei ad abolirla nel 1861), ha impedito di fatto la nascita di una piccola e media borghesia locali e quindi della diffusione non solo delle idee liberali, ma di una vera e propria coscienza nazionale.
La mancanza di una fase che ha caratterizzato il resto del continente europeo fin dalle rivoluzioni liberali di fine settecento e del 1848 ha fatto sì che i meccanismi indipendentisti dell’Ucraina fossero scattati soprattutto dalla volontà di altri paesi, in particolare la Germania che durante le due guerre mondiali ha favorito la sua emancipazione in chiave antirussa.
La liberazione di questi territori abituati da secoli di amministrazione padronale ha inoltre comportato che i regimi seguissero più la via autoritaria che democratica, con la scena politica dominata da figure che in un certo senso ricordano molto i baroni feudali, ovvero gli oligarchi che detengono le redini del potere economico. Non a caso diversi di loro, il re della cioccolata Petro Poroshekno o la celeberrima Yulia Tymoshenko sono i principali candidati alle prossime elezioni presidenziali del prossimo 25 maggio.
Il discorso sul ruolo di queste élite risulta molto utile per capire gli equilibri che reggono l’Ucraina nel difficile momento di questi giorni. Come ha spietato Foliti, quando il paese divenne indipendente nel 1991, la classe dirigente che sarebbe emersa ruotava essenzialmente sul cosiddetto clan di Dnepropetrovsk, la ricca regione industriale del sudest che ha dato i natali sia a uomini dell’era sovietica come il segretario del PCUS, Leonid Breznev che a due dei maggiori protagonisti della storia ucraina recente: Leonid Luchma e Yulia Tymoshenko.
Questi ultimi due, il primo presidente dell’Ucraina dal 1994 al 2005 e la seconda premier tra il 2007 e il 2010, hanno combattuto a metà degli anni un durissimo braccio di ferro con il clan della regione orientale Donetsk. Il brutale quanto controverso omicidio nel 1996 del Yevhen Sherban, governatore di Donetsk e principale referente di questo gruppo rivale, avrebbe spianato la strada di Luchma e Tymoshenko, sospettata da alcuni di essersi occupata di pagare i sicari di Sherban.
Come succede però spesso in questi casi, una volta venuto meno il nemico comune, i vincitori si sarebbero divisi a causa d’interessi sempre più divergenti, collocandosi dove il vento sembrava soffiare più favorevolmente. Gli esempi di queste banderuole non mancano, a cominciare dal sopracitato Poroshenko, che da ministro dell’ex presidente Yanukovich non ha esitato ad abbandonarlo quando la situazione si è fatta insostenibile.
Gli oligarchi non avrebbero abbandonato il presidente tanto per le contestazioni di piazza (che hanno avuto comunque un ruolo importante nell’esito della crisi), ma le avrebbero sfruttate per portare all’estremo la loro personale lotta con il presidente Yanukovich. Quest’ultimo, trovandosi lo scorso novembre nella difficile alternativa di scegliere tra un Accordo di associazione con l’Ue poco appetibile e gravido di condizioni (riforme politiche in primis) e l’aiuto russo ha preferito il secondo.
La vicinanza del loro paese con la Russia è sempre stato uno spauracchio per gli oligarchi. Ancora una volta non tanto per questioni nazionalistiche, ma per il timore di fare la stessa fine dei loro colleghi russi, com’è successo ad esempio a Mikhail Khodorkovski, ex patron della Yukos, la cui stella politica è stata soffocata sul nascere con una detenzione lunga dieci anni (2003-2013).
Questo spiegherebbe l’alleanza degli oligarchi con chiunque potesse servire alla rimozione di Yanukovich: la gioventù fortemente attratta dall’Occidente, dove hanno anche numerosi asset economici da tutelare; ma anche i gruppi estremisti come Svoboda o i gruppi paramilitari di Pravyi Sektor, i protagonisti degli scontri più violenti con le forze di sicurezza che adesso hanno un proprio leader come vicepresidente del Consiglio nazionale di sicurezza. Quale sarà poi il destino di questo bizzarro miscuglio politico, che minaccia seriamente di bloccare ogni progresso democratico, sembra essere un dettaglio secondario per chi sta giocando da fuori la partita ucraina, specialmente dal lato ovest.
La preoccupazione maggiore sulla questione da parte giornalista Di Francesco è proprio il ruolo che l’Europa ha giocato non soltanto in questa particolare congiuntura, ma nell’intera fase storia seguita al crollo del muro di Berlino e il crollo dell’URSS. Nonostante la fine della contrapposizione bipolare, l’Occidente invece di promuovere un clima più distensivo avrebbe tentato di approfittare del momento favorevole per consolidare le sue posizioni. Il primo esempio verrebbe dalla poco successiva disintegrazione della Jugoslavia, durante la quale l’Europa invece di sostenere l’integrità territoriale del paese ne ha assecondato le fratture interetniche, entrando con ciò in contraddizione con il suo principio di unione dei popoli e aprendo la strada ad un periodo di guerre sanguinose che ancora oggi fa sentire i suoi effetti nei Balcani.
Altro fattore destabilizzante è stata la scelta di cosa fare della NATO, che con la scomparsa del concorrente Patto di Varsavia aveva perso buona parte della sua ragione d’essere. Piuttosto che avviare la sua dismissione, l’Occidente ha preferito allargarla verso est per sfruttarne il nuovo potenziale nella breve parentesi multipolare, meglio conosciuta come la guerra del terrore. Le truppe dell’Europa orientale hanno infatti combattuto nei teatri afgano ed iracheno e alcuni di questi paesi sono diventati persino la base della cosiddetta guerra coperta, ovvero d’intelligence (sono tristemente noti i casi di renditions collegati con la Romania).
Ciò alla lunga ha fatto sentire la Russia sempre più minacciata, fino a quando l’eventualità di far entrare nella NATO anche l’Ucraina e la Georgia non ha scatenato le ire di Mosca, la quale è arrivata persino ad agire militarmente, com’è avvenuto in Georgia nel 2008 e minaccia di fare adesso anche in Ucraina. L’amministrazione Obama in questo senso non ha fatto molto per rassicurare la Russia, con cui i rapporti da quando è esplosa la crisi Ucraina sono scesi ad un livello quasi glaciale.
Questa sensazione di essere una mera pedina regionale dei grandi giochi geopolitici è molto forte nella popolazione, come hanno testimoniato alcune studentesse ucraine che erano presento durante l’incontro. Ma negli ucraini resta sempre forte la volontà di accedere ad un’Europa verso cui nutrono grandi speranze o grandi illusioni, a seconda di come la si voglia leggere con la crisi che attanaglia il nostro continente.
La direttrice Di Leo e Di Francesco mettono però in guardia l’Europa dal farsi accecare dalla volontà di espansione, passando oltre i molti problemi che ancora caratterizzano questo paese: dal ruolo ambiguo degli oligarchi a quello di movimenti di estrema destra che inneggiano ad una figura come Stephan Bandera, la guida dell’Ucraina che era alleata con i nazisti durante l’invasione dell’Unione Sovietica e che si è macchiata assieme a loro dei crimini dell’Olocausto. Oltre che in Crimea, a Donetsk o a Kharkiv la partita dell’Ucraina si gioca anche da qui.

Foto Evidenza Reuters

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