Lo hanno chiamato il Brics dal volto umano. È il Brasile, il gigante sudamericano che ha scalato le classifiche mondiali e si prepara ad ospitare due dei più grandi eventi internazionali come i Mondiali di calcio e i Giochi Olimpici del 2016. Si tratta di un’ascesa irresistibile o le prime avvisaglie avute lo scorso anno tra rallentamenti economici e rivolte sociali annunciano già i segni del declino?
Se n’è parlato oggi all’Auditorium Enel a Roma con un incontro organizzato tra la rivista Aspenia – per presentare il suo nuovo numero che dà il titolo all’evento – ISPI ed Enel, che ha visto inoltre la partecipazione di ospiti come Giulio Tremonti (presidente dell’Aspen Institute Italia, di cui è presente anche l’ex viceministro degli Esteri Marta Dassù come moderatrice), l’ambasciatore brasiliano a Roma Ricardo Neiva Tavares e il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani.
Sul Brasile tutti concordano che incombe la cosiddetta ‘trappola della classe media’. Essa ha una storia lunga che risale ai primi anni di democrazia del Brasile, quando l’apertura verso il commercio estero ha trainato la crescita per tutto il primo decennio del XXI secolo. Nel frattempo il governo Lula ha lanciato una serie d’iniziative volte a migliorare le condizioni dei ceti più poveri che hanno rafforzato il mercato interno, fino a trasformarlo nell’elemento portante dello sviluppo economico.
Ciò da un lato ha reso sempre più pressanti problemi che organismi come la WTO denunciano da molto tempo: la lotta alla corruzione, il miglioramento delle infrastrutture e la semplificazione della burocrazia. Il persistere di questi fattori, assieme al clima generale di crisi, ha contribuito a frenare una crescita, col risultato di mettere allo scoperto i nervi delle classi sociali che si sentono escluse da una ricchezza di cui beneficia ancora meno di un quinto della popolazione.
A mostrare nel dettaglio il quadro problematico dell’economia brasiliana ci pensa Giorgio Trebeschi, economista della Banca d’Italia, che mostra come i livelli di crescita del PIL in tre anni si siano praticamente dimezzati (dal 4.5% al 2%). La causa principale di questo affanno starebbe nelle politiche orientate all’espansione dei consumi (come l’aumento salari) che se in un primo momento hanno dato un nuovo slancio all’economia, quando è sopraggiunta la crisi hanno avuto l’effetto di accrescere l’indebitamento e ridurre una competitività che sconta anche una produttività molto bassa rispetto al resto dei paesi Brics. Altri errori secondo Trebeschi sarebbero stati un’esagerata diminuzione dei tassi d’interesse e il contenimento dell’inflazione tramite misure amministrative che ha fatto crescere il debito e ha reso sempre meno attraenti aziende come Petrobas, le quali hanno visto scendere il valore delle proprie azioni.
Nonostante questi difetti strutturali, su cui il governo della presidente Rousseff ha promesso d’intervenire quanto prima, il paese gode sempre di un’elevata attenzione dall’esterno sotto forma d’investimenti e di industrie molto floride. Un esempio di questa potenzialità la offre l’amministratore delegato della FIAT in Brasile Cledorvino Belini, in collegamento all’evento direttamente dall’altra parte dell’oceano. Secondo Belini grazie al fiorire d’industrie come l’agrobusiness o la produzione minerale il Brasile ha innalzato alla classe media 40 milioni di persone negli ultimi anni.
Questo non vuol dire che difetti nel modello brasiliano non esistano, ma per risolverli il governo dovrebbe puntare sul miglioramento delle infrastrutture, sull’educazione e la riforma del mercato del lavoro, un’opinione condivisa da un buon numero di imprenditori del paese stando ad uno studio di Crédit Suisse.
Malgrado questi dubbi e le critiche da opinion maker autorevoli come il Financial Times, il trend per l’ad latinoamericano di FIAT sembra essere destinato a continuare per via della demografia favorevole, della bassa disoccupazione e di riserve internazionali che superano i 300 miliardi di dollari. A confermare l’ottimismo di Belini ci pensa lo stesso ambasciatore Tavares, che tra i successi del Brasile cita l’acquisizione d’importanti aziende estere, tra cui la catena di fast food Burger King o la birra Stella Artois, ma anche l’essere in cima alla produzione di merci di tipo più svariato: dalla carne bovina agli aerei di linea.
Al crescente protagonismo economico non poteva non corrispondere un proporzionale protagonismo politico che lo ha visto primeggiare sui concorrenti argentino e venezuelano. Lo dice Paolo Magri, vicepresidente dell’ISPI, il quale spiega come la ‘distrazione’ dell’ex presidente statunitense George W. Bush abbia lasciato campo libero a Brasilia, che ha avuto dalla sua parte un presidente lungimirante come Ignacio Lula da Silva. Quest’ultimo infatti è riuscito ad incanalare non solo le anime diversissime che compongono il suo paese, ma soprattutto orientamenti geopolitici apparentemente configgenti. Si prenda il forum di Davos e quello di Porto Alegre, due appuntamenti economici mondiali che si richiamano rispettivamente alla visione liberale e a quella terzomondista. Invece di operare una scelta di campo, Lula si è impegnato a partecipare ad entrambi per affermare una specie di terza via, che ha finito col prevalere sulle alternative incarnate dal Venezuela chavista e sugli ultimi residui di influenza statunitense.
Questo ha consentito al Brasile prima di essere la guida del Sud America e di proiettarsi anche fuori, ad esempio in Africa, dove è molto più attivo del nostro paese. Tale evoluzione, come dice Tremonti, ha portato a modificare la meccanica e la dinamica dei flussi economici che ha trasformato i vertici dell’economia mondiale da gruppi uniformi (dunque accentrati) nella lingua, nella valuta e nella politica come il G7 in organismi circolari (e multipolari) come il G20.
Rimangono però molti ostacoli davanti all’espansione nel nuovo ruolo di attore mondiale del Brasile. Ciò non dipende soltanto dalla maggiore preoccupazione del successore di Lula, Dilma Rousseff, per le questioni interne. Pesa molto l’assenza di forti organismi multilaterali sul modello dell’Unione Europea, a cui il Brics difficilmente può supplire, in quanto non appena si va oltre il mero aspetto economico finiscono per venire alla luce forti divergenze politiche che oppongono democrazie alla brasiliana con sistemi mono partitici come quello cinese.
Il gruppo Mercosur, che comprende Brasile, Argentina, Venezuela ed Uruguay (il Paraguay è temporaneamente sospeso per il discusso impeachment del presidente Fernando Lugo) poteva avvicinarsi di più a questo discorso, ma la sua integrazione procede troppo a rilento per confrontarsi alla pari con i grandi mercati. Uno di questi è l’Unione Europea, rappresentata all’incontro dal vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani, che ha speso molte parole per descrivere la crescente collaborazione tra Ue e Brasile.
Dalle prime missioni industriali che Tajani avrebbe lanciato con l’aiuto di Tavares, all’epoca ambasciatore a Bruxelles, si è arrivati alla firma lo scorso febbraio di un’accordo bilaterale con il Brasile per rafforzare la cooperazione industriale ed economica. Tra i settori interessati ci sarebbero i trasporti, l’alleggerimento della burocrazia e lo scambio d’imprenditori come avviene per il sistema Erasmus. Previste per il prossimo futuro anche misure per il mercato delle telecomunicazioni, delle materie prime, la ricerca e sviluppo e persino lo spazio.
E l’Italia? Quali sono le opportunità per il nostro paese? Di sicuro molte e i nostri imprenditori non partono neppure troppo impreparati, perché in Brasile sono presenti con almeno un migliaio di aziende. Tra questi un soggetto altrettanto prestigioso di FIAT è la compagnia energetica Enel, presente in Brasile con i gruppi Endesa, Coelce e GreenPower. Per bocca del suo Direttore delle Relazioni Esterne Gianluca Comin, Enel si dice interessata a crescere in quello che considera un promettente mercato energetico, specialmente in materia di fonti ecosostenibili. Questo si traduce di conseguenza in massicci investimenti rivolte alle tecnologie solari ed eoliche, ma anche per l’avvio di progetti innovativi come la Smart City di Búzios, nello stato di Rio di Janeiro, un modello urbano studiato apposta per rispondere a criteri di consumo molto più efficienti.
A dominare l’incontro è dunque un grande ottimismo per il Brasile, che ha fatto della propria varietà culturale e sociale il suo maggior punto di forza, ma allo stesso tempo la scintilla che se non dovesse essere tenuta sotto controllo in tempo (e i Mondiali sono un primo campanello d’allarme) minaccia di paralizzare un gigante sulle cui spalle si sono ormai seduti troppi nani per permetterci d’ignorarlo.