I talebani avevano promesso di rovinare la festa e non hanno mancato di tener fede alla loro parola. Alla vigilia delle presidenziali in Afghanistan, due giornaliste occidentali sono cadute vittima di un assalto con armi da fuoco durante una visita dal governatore del distretto orientale di Tanai. Una di loro, la fotografa tedesca dell’Associated Press Anja Niedringhaus (nella foto) è rimasta uccisa, mentre la sua collega canadese Katty Gannon versa al momento in gravi condizioni.
L’attentato purtroppo non è l’unico che ha accompagnato un voto che segnerà la definitiva uscita di scena di Hamid Karzai, al comando dello stato afgano dalla caduta del governo taliban nel 2001. Assieme a lui il 2014 chiuderà anche la lunga missione ISAF della NATO, senza la quale i più pessimisti credono che le istituzioni non tarderanno molto a disintegrarsi. In questi anni il governo di Kabul ha comunque lavorato per consolidare diverse alleanze regionali, confidando di non trovarsi allo scoperto davanti a nemici che stanno aspettando pazientemente la ritirata delle truppe straniere per fare nuovamente la loro mossa.
All’inizio dell’anno, parlando di un recente attentato contro un ristorante frequentato dagli stranieri a Kabul, il consigliere per la Sicurezza nazionale afgano Rangin Dadfar Spanta ha accusato direttamente le autorità pakistane di essere la vera mente della violenza.
I sospetti rivolti contro Islamabad non sono una novità, visto che il grande vicino pakistano è stato il principale campo di addestramento dei guerriglieri fondamentalisti fin dagli anni settanta. Lo scopo di questa manovra era duplice: da un lato offrire appoggio indiretto all’alleato americano per contrastare l’avversario sovietico che aveva occupato l’Afghanistan; dall’altro creare una sorta di profondità strategica – vale a dire una ‘riserva di uomini e territori oltre confine’ – in vista di nuovi scontri contro la propria nemesi, ovvero l’India.
Con il passare del tempo il clima di tensione tra i due colossi nucleari si è attenuato, ma l’Afghanistan continua ad essere un tasto dolente nelle relazioni reciproche. Questo vale in particolar modo per il Pakistan, dove fino a pochi anni fa la forte simbiosi tra governo e militari era ben rappresentata dal presidente Pervez Musharraf, oggi caduto in disgrazia. Se il nuovo governo del politico-imprenditore Nawaz Sharif dà prova di migliori intenzioni, l’esercito e gli onnipotenti servizi segreti dell’ISI continuano invece a seguire in Afghanistan obiettivi del tutto diversi.
Alcuni si spingono a pensare che i generali pakistani vogliano mantenervi di proposito l’instabilità non solo per continuare a condizionarne le scelte, ma per evitare che possa seguire una politica autonoma, o peggio sviluppare degli interessi strategici ostili (come la rivendicazione delle regioni pashtun nel Pakistan Nord-occidentale) che finirebbero per legarlo militarmente all’India, completando così un’accerchiamento che è tra gli scenari più temuti dai generali di Islamabad.
In attesa di capire come evolveranno i rapporti tra politici e ufficiali in Pakistan, e con essi l’approccio in politica estera, l’Afghanistan si è avvicinato ad una serie di paesi, che a loro volta non vedono l’ora di riempire il vuoto che seguirà al ritiro americano. Uno di essi è appunto l’India, che ha prestato a Kabul miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture e ha offerto il suo know-how per l’addestramento delle forze di sicurezza afghane senza però vendergli carri armati o aerei per non provocare più del dovuto il rivale pakistano.
Un altro paese che ha trovato molti punti d’incontro con Nuova Delhi per la stabilizzazione dell’Afghanistan è l’Iran, che condivide con esso anche un passato culturale comune, specialmente nella regione occidentale di Herat, che secoli fa era un importante territorio dell’impero persiano. Tra i progetti in cantiere si parla di un accordo trilaterale per collegare India, Iran e Afghanistan attraverso il porto iraniano orientale di Chabahar. Per Teheran la stabilità di Kabul inoltre è fondamentale per arginare la piaga dell’oppio (l’Afghanistan è il primo produttore al mondo) e favorire lo sviluppo di una futura area economica che oltre a loro andrebbe a comprendere le promettenti repubbliche centrasiatiche.
Proprio uno di questi stati si sta spendendo molto per garantire il suo appoggio al futuro dell’Afghanistan, ovvero il Tajikistan, dove curiosamente gli abitanti di etnia tagika sono inferiori rispetto a quelli che vivono nel primo (6 milioni contro 8). Tale condivisione ha fin da subito rafforzato l’amicizia tra Kabul e Dushanbe, il quale essendo un grande produttore di energia idroelettrica spera di esportarne una parte a sud. Oltre a questo pochi giorni fa i due paesi hanno firmato un accordo di cooperazione in vari settori che includono trasporti, energia, cultura e molto altro. Il presidente tagiko Emomalii Rahmon si è spinto addirittura a promuovere l’ingresso dell’Afghanistan nell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, un organismo intergovernativo a cui partecipano colossi come la Russia, la Cina o il Kazakistan.
Visti i recenti sviluppi internazionali diventa obbligatorio spendere qualche parola anche sul ruolo della Russia in Afghanistan. Fino a poco tempo fa Mosca, assieme alla Cina, era considerata dall’Occidente una valida garanzia per garantirne la sopravvivenza dopo la fine della missione ISAF, al punto da far nascere un programma condiviso con le truppe NATO per addestrare le forze di sicurezza afgane. Dopodiché è sopraggiunta la crisi Ucraina e la rottura da ‘guerra fredda’ che è ricaduta anche su questa unione d’intenti, ma questo non ha intimidito la Russia che continua a mandare miliardi di dollari di aiuti con sommo piacere di quegli afgani, i quali nonostante la guerra combattuta in passato contro l’URSS ammettono che ‘i soldi della Russia (rispetto ai fondi occidentali che spariscono chissà dove) vanno al posto giusto”.
Chiunque sarà il vincitore di queste presidenziali (i sondaggi danno in vantaggio l’ex ministro degli Esteri Adbullah Abdullah), una cosa sembra essere certa. Pochi sembrano intenzionati ad abbandonare l’Afghanistan al suo destino, sempre che tanto amore non finisca per farlo letteralmente a pezzi.