Qui è nato il padre dell’India moderna, Mahatma Gandhi, che l’ha scelto come il luogo per mettere in atto la celebre ‘marcia del sale’ del 1930 contro il Raj britannico. Oggi il Gujarat, stato dell’India nordoccidentale, è diventato anche un modello economico a cui imprenditori e classi urbane guardano con ammirazione per la sua crescita sorprendente.
Buona parte del merito se lo prende il suo attuale governatore (o ministro come si usa da queste parti), una sorta di maharaja locale che siede al potere dal lontano 2001. Lo stesso che non ha fatto quasi nulla dodici anni fa per contrastare una sanguinosa violenza interconfessionale, durante la quale il suo governo ha giocato nel migliore dei casi il ruolo di spettatore passivo. C’è infatti chi accusa il ministro del Gujarat di aver addirittura istigato lui stesso la rabbia degli indù che, per rappresaglia ad un incendio di un treno nel quale sono morti parecchi dei loro correligionari, avrebbero massacrato circa un migliaio di musulmani e distrutto decine di santuari e moschee. Il nome di questo personaggio controverso è Narendra Modi, ministro del Gujarat e leader del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista che quasi tutti i sondaggi danno per vincente alle prossime elezioni parlamentari indiane.
Per mettere in moto l’enorme macchina democratica indiana (dopotutto si parla sempre di centinaia di milioni di elettori) ci vorrà più di un mese, per cui I risultati del voto non saranno annunciati prima di metà maggio. Solo allora si saprà se a trionfare sarà, come previsto, il BJP di Modi oppure il Congresso Nazionale (INC), il partito di governo che ha candidato Rahul Gandhi. Quest’ultimo è il figlio di Sonia Gandhi, la quale ricopre la carica di presidente dell’INC e per le sue origini italiane è stata spesso oggetto di critiche a sfondo nazionalistico da parte del BJP.
Ciò è avvenuto in particolare per un caso che riguarda proprio il suo paese natale, ovvero la ben nota vicenda dei due maro’ Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati di aver ucciso dei pescatori al largo del Kerala, nell’India meridionale. La Gandhi viene accusata di fare pressione a favore dei due fucilieri di marina, come dimostrerebbe ad esempio la rinuncia a fine febbraio di applicare su di loro la legge antiterrorismo Sue Act, che prevedeva la condanna a morte. Nonostante i due militari italiani abbiano salvato la pelle, la vicenda sta continuando a scatenare polemiche tra Roma e Nuova Delhi, il tutto a gran vantaggio del BJP, che batte sul tasto dell’orgoglio nazionale per guadagnare nuovi consensi a scapito degli ‘imbarazzi’ del governo.
In effetti l’aspetto che più preoccupa del partito di Modi è quello del radicalismo indù, che suona quasi paradossale in un paese considerato un modello proprio per essere riuscito a tenere un tessuto sociale enorme, ma soprattutto multiculturale. Esso avanza nelle fratture che si nascondono dietro la facciata del mosaico indiano, dove non mancano i segnali di disagio nella convivenza: scontri interreligiosi come quelli avvenuti nel Gujarat, incidenti che hanno coinvolto le donne sia nei villaggi remoti che nelle grandi metropoli, feroce discriminazione verso gli omosessuali. Da qui si può capire come ci sia ancora molto da fare per evitare che questi elementi scatenino fratture molto più gravi come quelle avute in altri paesi.
In molti temono che l’affermazione di una forza reazionaria come il BJP possa assestare un duro colpo alla tenuta di un tessuto sociale più fragile di quello che sembra. Un altra preoccupazione riguarda i difficili rapporti con il Pakistan, paese con il quale l’India ha diversi conti in sospeso (la questione del Kashmir su tutte), che hanno fatto arrivare talvolta i due paesi allo scontro militare diretto.
La successiva ascesa a potenza nucleare di entrambi ha scongiurato il ripetersi di un nuovo conflitto, sebbene non siano mancati diversi episodi di recrudescenza negli ultimi anni. Uno dei più gravi è avvenuto durante il governo del BJP tra il 1998 e il 2004, quando un attentato al Parlamento indiano del 2001 fece incrociare nuovamente le armi dei due paesi senza degenerare fortunatamente in una guerra totale. Ad essere onesti bisogna aggiungere che l’allora Primo Ministro del BJP, Atal Bipari Vajpayee, si distinse anche nel tentativo di instaurare un dialogo con il rivale, andando contro i suoi stessi colleghi di partito. In memoria di ciò al di là della linea Radcliffe (altro nome per definire il confine tra India e Pakistan) non si agitano più di tanto nel caso di una vittoria del BJP. Ma è anche vero che Modi ha dimostrato più volte di non avere la stessa moderazione del suo predecessore.
Malgrado i dubbi che accompagnano questa figura, la maggior parte degli indiani sembra propenso a scegliere Modi come futuro leader del paese. Il suo diretto rivale, Rahul Gandhi, si trova nella difficile situazione di recuperare il terreno che l’INC ha perso a causa degli scandali di corruzione. Tra i più importanti è sufficiente citare quello della vendita del carbone e delle frequenze per le telecomunicazioni, quest’ultimo definito secondo il Time “il peggior abuso di potere dopo il Watergate”.
Lo stesso premier Manmohan Singh ha visto la sua reputazione uscire a pezzi da questi scandali, che hanno assecondato l’immagine che ne dà l’opposizione di un politico senza polso e succube delle decisioni prese al 10 Janpath, la residenza della Gandhi a Nuova Delhi.
Non sono da escludere sorprese dell’ultimo minuto. In particolare è da tenere d’occhio il terzo incomodo, il Fronte dei Comunisti, che potrebbe ostacolare il raggiungimento di una solida maggioranza ad entrambi i contendenti. Appuntamento dunque al prossimo maggio.