Quando più di due anni fa gli abitanti di Wukan, un villaggio di pescatori del Guandong, si ribellarono contro i funzionari locali del partito comunista, molti credevano che il seguito di questa trama fosse già scritto nel solco della repressione. Troppi gli interessi in gioco per dei politici così assetati di denaro da requisire senza alcuna vergogna la terra ai contadini, per poi rivenderla alle grandi imprese immobiliari del paese nella certezza di farla sempre franca.
Stanca di questo meccanismo perverso e aizzata dalla misteriosa morte in carcere di uno dei loro rappresentante, Xue Jinbo, la gente di Wukan finì col sollevarsi contro i governatori corrotti in una rivolta simile a molte altre schiacciare con la violenza. Eppure, tra lo stupore generale, i rivoltosi riuscirono non solo a cacciarli via, ma addirittura ad eleggere i propri rappresentanti senza che il governo si opponesse più di tanto a questa prova inedita di democrazia. Anche la Cina dunque si stava incamminando verso un sistema liberale?
Di sicuro due anni dopo gli eventi dell’inizio del 2012 le cose da queste parti sono molto cambiate. La situazione politica della Cina in quel periodo era innanzitutto condizionata da una delicata transizione politica, che si accompagnava al XVIII Congresso del Partito Comunista cinese (PCC) dell’autunno, l’attesa del quale secondo alcuni avrebbe suggerito ai dirigenti di Beijing (Pechino) di mostrare più prudenza del normale nel gestire la rivolta di Wukan.
In questo senso un ruolo non secondario alla risoluzione della crisi lo ha giocato l’allora segretario del Guangdong, Wang Yang, considerato per via delle sue idee a favore dell’imprenditoria privata e una società civile più liberale come un modello alternativo al minaccioso neomaoismo del decaduto Bo Xilai. C’è anche però chi vede nella mediazione che fece Wang in quei giorni convulsi un modo per quest’ultimo di scalare le posizioni all’interno del partito, ambizione poi soddisfatta con la nomina di Wang a uno dei quattro vice premier dell’attuale governo di Li Keqiang.
Nel frattempo l’esperimento di Wukan, che lo stesso Wang aveva elogiato come un esempio da cui ispirarsi per tutto il Guangdong, sembrava propenso a diffondersi in altri villaggi della regione come quello di Wanggang. Ora se l’elezione di rappresentanti locali è un meccanismo già previsto nei villaggi, la differenza sostanziale con il passato stava nel fatto che tra i candidati, oltre ad esserci quelli indicati ufficialmente dal partito come succede in tutti i regimi monopartitici, vi erano anche semplici cittadini, i quali secondo una concezione tanto semplice quanto rivoluzionaria avrebbero garantito meglio gli interessi di funzionari calati dall’alto di uffici distanti migliaia di chilometri.
Purtroppo i nuovi leader eletti dal popolo dovettero affrontare fin da subito degli ostacoli insormontabili. Il capo villaggio di Wukan, Lin Zuluan, ad esempio non ha potuto adempiere alla richiesta principale dei suoi elettori, ovvero la restituzione delle terre confiscate, in quanto i terreni erano già stati venduti dall’amministrazione precedente. Impossibilitato di offrire almeno una qualche forma di risarcimento, il governo di Lin è caduto rapidamente in disgrazia, al punto che il suo vice Yang Semao lo accusa di essere un corrotto e di aver gettato il villaggio in una situazione di caos.
Delusi dai fallimenti e da queste divisioni interne, gli abitanti di Wukan, ma anche i leader della protesta, hanno perso sempre più fiducia nella loro piccola rivoluzione, che adesso rischia di essere sabotata da un Partito comunista ansioso di riguadagnare il terreno perduto. Una delle prime contromosse delle autorità è stata l’imposizione di candidati del PCC alle elezioni di Wukan di questo mese, seguita dall’eclatante arresto la scorsa settimana di Yang Semao, sospettato di aver ricevuto circa 20.000 yuan (equivalenti a 3.000 dollari) di tangenti proprio per degli appalti.
Molti credono che le manette su Yang, forse il leader più convinto a mantenere in vita la causa di Wukan, siano scattate giusto in tempo per far saltare un raduno generale nel villaggio, che si doveva tenere lo scorso fine settimana e non a caso è stato disperso a causa della sua assenza. Tutto questo allo scopo di demotivare la gente e facilitare il ritorno ‘silenzioso’ dei vecchi funzionari.