Ucraina – Guerra di Crimea 2.0

20140303-172014.jpgÈ di nuovo lunedì e, neanche fosse diventato un appuntamento settimanale, mi ritrovo a parlare nuovamente dell’Ucraina. Questo paese in effetti sembra attraversare una nuova crisi in corrispondenza di ogni weekend: prima la rivoluzione che ha abbattuto Yanukovich e adesso la paventata invasione russa a difesa dei suoi connazionali nella penisola di Crimea.
Uno sviluppo del genere rievoca alla mente un’epoca che pensavamo fosse tramontata da lungo tempo, ovvero quella ottocentesca, in cui trova un posto speciale proprio la Russia zarista. Essa per proteggere i suoi correligionari ortodossi era disposta a fomentare nazionalismi o a scendere addirittura in guerra, com’è accaduto in un conflitto che molti hanno ricollegato all’attualità non solo per il luogo comune, ma per le conseguenze che tale evento potrebbe avere nell’ordine internazionale di oggi esattamente come successe 160 anni fa.

Il conflitto di cui stiamo parlando è la celebre guerra di Crimea (1853-1856), esplosa per un motivo tutto sommato molto simile a quello che ha scatenato l’incendio di questi giorni. Se oggi Mosca invade per proteggere i vessati russi di oltre confine, allora si trattava di proteggere i vessati cristiani dell’impero ottomano – magari anche conquistare la tanto agognata Costantinopoli – a difesa del quale intervennero però la Gran Bretagna e la Francia.
Nonostante questa guerra venga generalmente ignorata dal grande pubblico, essa fu non di meno molto importante per diversi elementi. Fu ad esempio il primo conflitto ad essere documentato sia con fotografie (in cui scorgiamo le ultime tracce delle splendide uniformi di epoca napoleonica) che con dettagliati reportage. Un altro tocca noi italiani da vicino, poiché Cavour sfruttò l’invio di alcune truppe piemontesi al fianco del blocco antirusso per conquistarsi un’irripetibile vetrina internazionale per la causa risorgimentale.
Esiste tuttavia un aspetto molto più profondo che interessa questo conflitto, ovvero il fatto che fu un vero spartiacque tra l’equilibrio delle potenze uscito dal Congresso di Vienna e il rimescolamento che avrebbe caratterizzato l’incertezza internazionale dei successivi cento anni.
Questo si tradusse nel fatto che venne meno la cosiddetta Santa Alleanza di Russia, Prussia e Austria, instaurata con lo scopo di reprimere le pulsioni rivoluzionarie, dando forse la sua prova migliore durante le rivoluzioni del 1848. Bastarono appena cinque anni a mettere in discussione un sistema apparentemente perfetto. Nella guerra di Crimea infatti l’Austria, temendo l’espansionismo russo nei Balcani, decise di non scendere al fianco dello zar e anzi sembrò propensa ad allearsi con i suoi nemici.
La Russia avrebbe così finito per legarsi per sempre al dito il ‘tradimento’ di Vienna, gettando la monarchia asburgica in un isolamento di cui avrebbero di lì a poco approfittato i suoi vicini italiani e prussiani. E con l’ingigantirsi del potere di questi ultimi si sarebbe aperta una lunga stagione d’incertezza e di tensione, che si sarebbe ricomposta quasi un secolo più tardi la guerra di Crimea, vale a dire con il nuovo ordine internazionale seguito alla fine della seconda guerra mondiale e alla nascita delle Nazioni Unite.
Settant’anni dopo i venti di guerra ricominciano a soffiare sulla penisola del Mar Nero che Nikita Chruscev volle donare alla sua Ucraina. La situazione come successe durante la fine di Yanukovich è degenerata in pochissimo tempo: prima la popolazione locale ha occupato gli edifici amministrativi, poi si sono formate delle milizie e infine le truppe russe di stanza in Crimea (i cui porti sono comunque affittati alla flotta di Mosca secondo precisi accordi) sono state progressivamente rinforzate fino a rendere palese le intenzioni di un’operazione militare su larga scala.
I motivi di questa catastrofe imminente sono tanti e non vengono soltanto dal presunto imperialismo di Vladimir Putin, che dopo aver mutilato la Georgia del 2008 pare aver iniziato la fase due di quello che i suoi avversari temono sia un disegno per restaurare, anche con la forza, un nuovo impero russo.
A suo favore ha giocato anche l’imprudenza del nuovo e fragile governo ucraino, il quale per accontentare la parte nazionalista che ha combattuto in prima fila contro i Berkut di Yanukovich ha dato pessimi segnali a quella parte del paese che non era ancora del tutto conquistata a suo favore, legittimando così l’intervento di Mosca, che per bocca dello stesso Putin non ha mai accettato l’indipendenza di Kiev.
Una parte della responsabilità di questa catastrofe viene però anche dall’Occidente, che al momento sta dimostrando per l’ennesima volta di non essere all’altezza dei suoi valori o, se vogliamo concederlo ai suoi più feroci detrattori, al suo disegno espansivo verso est. L’Europa, e con essa l’America, infatti fiutando la prospettiva di strappare l’Ucraina all’influenza russa non hanno esitato a salire sul carro di Maidan, salvo poi ritirarsi, dividersi o cominciare a balbettare non appena la Russia ha iniziato a mobilitare le sue forze. E proprio mentre scrivo la Russia avrebbe dato un ultimatum all’Ucraina per ritirarsi dalla Crimea se non vuole “affrontare la tempesta”.
La sovraesposizione dei competitors ha così trasformato il conflitto di Crimea in un nuovo spartiacque degli equilibri internazionali, del quale si era avuto già sentore con la Georgia travolta nel totale silenzio occidentale. L’unica differenza con il 2008 è che il paese in questione forse era troppo piccolo e lontano per avere la posta in gioco che si sta avendo oggi in Ucraina.
Se la comunità internazionale – le Nazioni Unite, ma visti i toni di Putin qualcuno vede ormai indispensabile un tono più assertivo da parte della stessa NATO – riuscirà a fermare l’escalation in tempo potremmo continuare (ad illuderci?) ad avere un qualche criterio per gestire gli affari mondiali. In caso negativo ad Obama, Rasmussen e a Lady Ashton non toccherà che interpretare il ruolo di notai per il fallimento del vecchio ordine e aprire una stagione di disordine globale che nodi irrisolti come la guerra siriana o il sempre più freddo inverno arabo hanno già preannunciato.

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