“L’ espressionismo non deriva da un gusto spiccato per le forme bizzarre, ma corrisponde piuttosto al bisogno d’interiorizzazione e d’evasione che risale all’infanzia: l’idea di avere un luogo tutto per sé, anche malsano….L’ espressionismo è una componente dell’ universo di Batman, con questa città che viene mostrata sempre di notte, come se ci si ritrovasse nella testa di qualcuno. Questo, per me, è l’ espressionismo: l’ idea di un mondo interiore, di un’ arena dove brancolano degli uomini-animali”. Tim Burton.
E’ in questa affermazione Burtoniana di qualche anno fa che è contenuta l’ essenza del suo immaginario: potremmo definirlo anti-culturale, pensiero controcorrente e dissacrante, rappresentante un mondo interiore. E’ un universo ossessivo che genera opere e idee che vengono da lui stesso definite una sorta di ricerca, di psicoterapia. Il suo film: “Alice nel paese delle meraviglie” può, ad esempio, essere analizzato solo attraverso la comparazione con questa idea di espressionismo.
L’ opera può esser compresa e approfondita, in prima analisi è da notare che questo mondo oscuro ed interiore fa parte integrante del universo diegetico del film che Burton , nel suo distaccarsi dall’originale attraverso un impostazione più da sequel che da remake.
Il mondo di Alice è come un’arena: un luogo che si espande oltre se stesso, poliedrico e plasmabile, nel quale ogni spettatore può cogliere aspetti diversi. Un viaggio con la mente che ci ha trascinato (come nella maggior parte dei suoi film) in una sorta di dimensione surreale fatta di figurazioni irriverenti e caos.
“Sono così poco abituato a ricevere lodi e incassare soldi al botteghino che quando succede mi viene da chiedere.. dove ho sbagliato?”. Critiche e mal comprensioni hanno accompagnato la maggior parte della sua carriera compreso questo film: oggi Burton rappresenta la massima espressione di un surrealismo che come tale, da Andrè Breton in poi, ha rappresentato in pieno l’automatismo psichico. L’inconscio emerge anche nella nostra sperimentazione sensoriale (cioè quando non dormiamo e siamo dunque consci di noi stessi) in cui liberi pensieri e immagini senza freni inibitori si scontrano e si rivelano nella realtà.
In un momento dove il cinema è essenzialmente consumo, il grande pubblico per poterlo apprezzare deve necessariamente lasciarsi alle spalle l’idea del puro intrattenimento: viaggio, sogno, inconscio e dissacrazione di stereotipi convenzionali sono i presupposti giusti per apprezzare il genio e la “pazzia” di questo artista.
In ultima analisi è da considerare il coraggio di questo grande maestro surrealista che disse : “Ricordo la prima volta che lavorai negli studi della Disney . Ero veramente stupefatto di quanto tutto fosse così chic. Forse c’è sempre stato un lato oscuro nella Disney, anche nei primissimi film…Certo sotto un buono strato di sdolcinato sentimentalismo, ma è sempre li. In alcuni dei loro film lo si avverte. Oggi forse, traspare maggiormente”.
Nonostante la Disney produca il film questo può aiutare a spiegare come mai ci siano indubbie prese di distanza rispetto all’originale. Tim Burton, agli inizi della sua carriera, era uno dei disegnatori della Disney che successivamente abbandonò per divergenze creative. Troppo “canonica” per i suoi standard. Burton in questo suo lavoro ha cercato di far emergere quel lato oscuro, quel clima surreale che si celava dietro il buonismo disneyano. “La felicità per me, è fare il film che voglio. E’ una catarsi emotiva e, a modo suo, anche una forma di terapia, sia pure molto , molto, molto costosa…” ma molto, molto interessante.